Se potessimo unire ad un suono una sensazione, ascoltando i Taake ciò che potremmo sentire sarebbe sicuramente un caldo brivido di freddo.
L'antitesi non è per nulla casuale: la sensazione è proprio quella di avvertire un mite gelo, per nulla ostile ma avvolgente. Norvegesi come la maggior parte dei gruppi black, i Taake sfornano un nuovo album, dal titolo “...Doedskvad”, il cui significato più profondo sfugge alla mia conoscenza. Infatti è noto, a che è appassionato di vero black, come i Taake usino solo ed esclusivamente la lingua Norvegese, arricchita di arcaismi e di termini antichi che rendono ancor più aulica la proposta musicale e lirica di questo combo nordico.
Già da tempo ci deliziano con un black che non presenta una furia cieca, ma ben armoniosa e a tratti estremamente melodiosa: ne sono una testimonianza i precedenti dischi come “Bjoergvin“ (che a quanto pare dovrebbe essere l'antico nome di Bergen) o “ Nattestid “ , vere e proprie lezioni di black puro e suonato alla vecchia maniera. Dunque, le atmosfere nebbiose, buie e tetre fanno da padrone, in un mix musicale che a tratti si ispira ai padri del genere o alle proposte più recenti di gruppi come Carpathian Forest. Il disco, come è ormai consueto per i nostri, è totalmente privo di titoli con le canzoni che si distinguono per il loro numero, solitamente romano. Non mi è difficile pensare ad una specie di concept album visto che comunque una certa concatenazione tra le tracce è riscontrabile.
Le canzoni, o meglio, queste sette parti di un'unica opera, sono tutte di una considerevole durata, mai sotto i 6 minuti di gelido sonoro. Il disco inizia subito con un lancinante urlo che dà la genesi alla potenza aspra delle chitarre, in un incedere quasi anthemico, in una struttura molto razionalizzata e organizzata, per dar sfogo ad un finale denso di melodia nordica che funge da totale antitesi con la seconda parte in cui spicca un grande lavoro alle chitarre. Come ho già detto in precedenza, questo lavoro presenta spunti interessantissimi grazie anche ad atmosfere variegate e suggestive. Un malinconico intro ci porta all'interno della furia della terza parte in cui spiccano i classici riffs di matrice puramente black che, nuovamente, portano ad un finale denso di soluzioni melodiche.
Più monocorde e riflessiva (dai tratti quasi Burzumiani) la quarta parte, a differenza della rabbiosa energia della successiva parte 5.. Come intermezzo per le acide grida, la parte sesta ci presenta una strumentale gelida quanto basta, preludio alla settima parte, che nei suoi nove minuti di lunghezza ci presenta la band che riassume gli ingredienti masticati sino ad ora: riff taglienti incastonati con melodie buone e di notevole interesse, in un finale dalle tinte inquietanti. Sicuramente non posso annoverare questo buonissimo disco tra i capisaldi del genere. Ma ha dalla sua parte un'omogeneità e una coerenza davvero notevoli.
Onesto e ben suonato, è sicuramente un disco che mantiene vivo il genere black, dandogli ancora forti spunti di originalità e freschezza (gelo?).
Elenco e tracce
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