Al vertice del loro periodo d'esordio, sicuramente il più significativo, i tedeschi Tangerine Dream di Edgar Froese produssero l'album "Green Desert", che venne però pubblicato postumo, ovvero non nell'anno di produzione (che era il 1973).
"Green Desert" tira le somme di una fase di innovazione e definisce quella che è non soltanto la forma tipica delle composizioni del trio, ma anche la forma tipica dei loro album, in cui compaiono almeno una lunga suite di stampo prettamente cosmico e alcuni brani più brevi.
I Tangerine erano all'epoca diventati un punto di riferimento di quella che per l'appunto era chiamata Scuola Cosmica, sviluppatasi soprattutto in Germania e salita agli onori delle cronache musicali per l'uso trasversale dei sintetizzatori, spesso accomunato a quello di strumenti più tradizionali. Mentre band come gli ELP producevano dischi di rock barocco e sinfonico, mescolando le suggestioni narrative del progressive con i deliri virtuosistici di tastieristi tarantolati, gli ensemble certamente più moderati come i Tangerine Dream sfruttavano la tecnologia per creare ambientazioni siderali dai tempi dilatati e atmosfere improntate su un virtuosismo di idee, più che di mani.
"Green Desert" è un ottimo esempio, benchè non il più originale, di ciò che il gruppo sapeva fare e trasmettere all'ascoltatore. Tutt'altro che freddi nonostante un approccio creativo inevitabilmente un po' intellettualistico, i Tangerine dipingevano nuovi mondi sonori concentrandosi sul merging dei vari strumenti utilizzati, che spaziavano dalle percussioni ai moog. Rileggendo probabilmente una parte della psichedelia con una sorta di consapevolezza e controllo totale, abolivano il predominio delle chitarre e della voce per far dominare la scena a timbri svincolati da generi troppo consolidati. E quello che oggi può sembrare scontato, tra il 1970 e il 1973 non lo era affatto. A parte sporadiche (e geniali) voci soliste nel mezzo di un'era ormai dichiaratamente progressive - vedi Faust, I Floyd di Ummagumma e poco altro - nessuno era ancora arrivato là dove Froese e Franke stavano già evolvendo con mano sicura.
Basti pensare che solo poco tempo dopo Jean Michel Jarre riuscì ad avere ben più estesa fama e fortuna economica semplificando e sdoganando il sound che i Tangerine avevano sgrossato e perfezionato in chiave ancora elitaria. I temi musicali e il modo di fare atmosfera di Froese furono il punto di partenza di una "scuola cosmica pop" - se così si può dire - di cui Jarre divenne il celebrato portabandiera.
"Green Desert" è l'esempio calzante in questo senso, perchè con i brani del lato B mostra le potenzialità del sound cosmico e tutte le sue future implicazioni. Se da un lato c'è ancora una vena ostica, quasi iniziatica, nel modo di elaborare le tessiture del suono, che nella suite di quasi 20 minuti che dà il titolo all'album si dipana tra arcane suggestioni fantascientifiche e sottili minimalismi, dall'altro c'è la maestosità stellare di "White Clouds" che apre orizzonti meravigliosi e incalza anche l'ascoltatore meno avezzo. Da questo stupendo pezzo parte la strada che porta i Tangerine Dream fuori dalla nicchia e decripta quello che fino ad allora poteva sembrare un esercizio di stile votato a creare il vuoto intorno.
Vi aspettavate una descrizione più precisa della musica? Beh… questi sono dischi che vanno ascoltati in totale immersione. Non ci sono liriche, non ci sono prevalenze di mood esemplificativi. L'album non è il più significativo dei Tangerine Dream; ma non potrei mai consigliare ai digiuni di cominciare con "Zeit" o "Alpha -Centauri".
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