A metà degli anni 90, quando ormai quasi nulla era rimasto in piedi della scena hard hard rock che aveva segnato un'epoca fino a pochi anni prima, i Tesla furono una delle poche realtà rimaste ancora in grado di regalare un ultimo, effimero raggio di luce a un genere un tempo glorioso, e che appariva ormai ridotto a nient'altro che un'ombra.

I cinque (hard) rockers di Sacramento erano reduci da tre clamorosi centri su altrettanti dischi, a partire dal debut 'Mechanical Resonance' (datato 1986) per arrivare a 'Psychotic Supper' del 1991, passando per 'The Great Radio Controversy (1989) e per il seminale live album 'Five Man', rilasciato un anno più tardi.

Sempre fedeli al motto 'squadra vincente non ci cambia', i nostri tornarono sulle scene con un album che ricalca grossomodo, a livello di scaletta e di sound, quello che molto probabilmente fu il loro lavoro più riuscito, e quello in cui raggiunsero la piena maturità compositiva, ovvero il precedente 'Psychotic Supper'. E' impossibile tuttavia non considerare che l'anno di uscita di questo platter era appunto il 1994; e questo va unito alle tensioni sorte all'interno della band, ed al fatto che pretendere il quarto capolavoro su quattro release era forse eccessivo anche una per un gruppo come i Tesla, che eppure da sempre avevano fatto della passione, del feeling e dell'affiatamento per la loro musica il loro unico credo. Risultano purtroppo evidenti, negli oltre 60 minuti che scandiscono le 14 tracce del disco, alcuni sintomi di 'stanchezza' e di appiattimento dal punto di vista compositivo, fatto anche comprensibile e fisiologico, dato che la band veniva da 8 anni vissuti al massimo sia in studio che on stage, con una serie impressionante di serate consecutive durante i tour di quel periodo.

Tuttavia, nonostante il livello dei tre precedenti full lenght non sarà forse mai più raggiunto dalla band di Sacramento, i Tesla sono sempre i Tesla, e un opener sublime del calibro di ‘The Gate/Invited' è lì pronta a ricordarcelo; come il nome stesso del pezzo suggerisce ci troviamo di fronte a una song a due facce, in cui c'è tutto quello a cui la band ci ha sempre abituati, ovvero momenti acustici intimisti e delicati alternati a improvvise sferzate di puro hard rock. Lo stesso tema si ripete più o meno anche in ‘Shine Away', altro pezzo trascinante e ispirato, che abbraccia a tratti sonorità tendenti quasi all'heavy. Le songs da ricordare non finiscono senz'altro qui, e se in ‘She Want She Want' siamo addiritura in territori glam tanto cari a party-metal  band quali Poison e Danger Danger; ‘Mama's Fool', col suo southern debitrice di gruppi quali Blackfoot e Molly Hachet tenta di ricollegarsi a 'Change In The Weather', quella che fu la meravigliosa opener di ‘Psychotic Supper', riuscendo però solo in parte a ripeterne la bellezza. Rallentano i ritmi con ‘Need Your Lovin', song per ‘hard-rockers dal cuore tenero'(cit.) a cui la band già ci aveveva abituati in passato, con intemezzi più melodici e introspettivi quali  ‘The Way It is', ‘Call It What You Want', ‘What You Give' e ‘Stir It Up', che spezzavano il ritmo forsennato imposto  dalla maggior parte dei loro brani. 'A Lot To Loose' è invece la vera ballata dell'album, come 'What You Give' lo era stata per il suo predecessore, ma risulta ancora più emozionante di quest'ultima, grazie al suo incedere calmo e riflessivo, e alla sua melodia struggente e sognante allo stesso tempo. Altro, ma non ultimo motivo per non dimenticare quest'album è la presenza in scaletta di un pezzo come ‘Try So Hard', ballad dalle forti tinte acustiche e dall'incedere sofferto e intriso di sudore e passione, in cui l'interpretazione sentita ed emozionante del singer Jeff Keith ne fa probabilmente il più bel lento, e forse non solo, della carriera dei Tesla, accanto all'indimenticabile ‘Love Song' dell'89.

Paradossalmente sono però i pezzi pià spinti, che in passato erano stati la loro vera marcia in più, a non convincere fino in fondo e a risultare quasi standardizzati e privi di mordente in vari tratti, a partire dall'iniziale ‘Solution' per arrivare ad ‘Action Talks', ‘Cry', ‘Earthmover' e la più riuscita ‘Rubberband'; tutte songs che non riescono a spiccare il volo e mancano proprio di quella ‘freschezza' compositiva che aveva sempre contraddistinto la band. Da questo punto di vista i tempi di ‘Don't De-Rock Me' e delle mozzafiato 'Ez Come Ez Go', 'Cumin' Athca Live', 'Makin' Magic' (ma la lista sarebbe molto più lunga) sembrano ancora più lontani cronologicamente di quanto non lo siano in realtà.

Arrivati alla fine del disco, i Tesla optano per due episodi dalle sonorità più acustiche e rilassate, con ‘Wonderful World', che pure propone a tratti intermezzi ben più spinti, ed infine ‘Games People Play', cover del cantautore americano Joe South che, con i suoi delicati accordi dalle tinte folk, impregnati di un velo di malinconia e di lieve tristezza, chiude il disco e purtroppo anche la prima parte della carriera della band.

'Bust A Nut' passò totalmente inosservato, e fu il preludio all'inevitabile scioglimento del gruppo, che infatti avvenne durante quello stesso 1994, subito dopo la fine del tour promozionale. Sette anni dopo, nel 2001, l'annunciata reunion della band trovò conferma con la pubblicazione durante lo stesso anno del live album ‘Replugged Live', che ci consegnava una band ancora in piena forma e che suonava ancora come agli esordi, come se il tempo si fosse fermato, e gli anni 80 non fossero mai finiti. Il successivo disco di inediti, rilasciato nel 2004 a nome 'Into The Now', risultò un buon prodotto con diversi episodi degni di nota, nonostante l'avvicinamento a sonorità più modern rock tagliò parzialmente i ponti con il loro grande passato. Gli anni successivi videro dapprima l'abbandono dello storico chitarrista Tommy Skeoch(sostituito da Dave Rude), ed in seguito la pubblicazione di un doppio album di cover ('Real To Reel',2007) e di un altro disco di inediti, 'Forever More', datato 2008, un lavoro senz'altro meno convincente del precedente, che è anche l'ultimo studio album fin qui distribuito dal gruppo. Gli ultimi album e, soprattutto, le ultime convincenti esibizioni dal vivo hanno dimostrato che i Tesla, anche a 25 anni dal loro straordinario debutto, sono una band che ha ancora qualcosa da dire. Io, però, tra i nuovi continuo senz'altro a preferire questo 'Bust A Nut', che non avrà la carica ed il mordente dei tempi migliori, ma dimostra senz'altro come i Tesla anche all'epoca, seppur  tra mille difficoltà, avevano saputo colpire ancora una volta al cuore con la sincerità e la passione che li ha sempre accompagnati, lasciandoci un album che, dopo ogni ascolto, non può non suscitare ancora oggi un velato senso di nostalgia per i tempi che furono.

Feelin' Is Believin'

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