I miei amici? Una mano ormai. 2/5 se li sono inglobati due donnine tanto carine, quanto stronze che grazie al “triangolino che ci esalta” li stanno rendendo cagnolini-vegetali. Riesco ancora molto saltuariamente a farmi 4 risate con loro e animarmi in frizzanti discorsi annaffiati da qualche bicchiere; quasi come ai vecchi tempi se non fosse che succede sempre più di rado. Non ci vuole un genio per capire che quando metteranno l’anello al dito spariranno per magia, come quel mezzo uomo o hobbit di Tolkien, per ricomparire forse al divorzio dieci anni dopo. Un’altra è andata all’estero e se ha sale in zucca ci rimarrà, uno abita in culo ai lupi da quando ha finito l’università. L’ultimo è sulla via dei primi due. Gli altri? Mah, conoscenti: amici non direi proprio. Come cazzo fai a considerare amici persone che superano il quarto di secolo e vanno verso i 30 e che nonostante ciò stanno male se non hanno 500 amici su faccia libro? Prima di cancellarmi da quel cazzo di sito mi sono arrivate 100 notifiche in un giorno di inviti per partecipare a quiz del tipo: che tipo di stronzo sei? quanti neuroni hai? in quale città saresti dovuto nascere? che tipo di drink sei? Proposte di amicizia (rifiutate) da gente che non vedevo dalle elementari. Sarò vecchio io, ma non ci siamo proprio. Se voglio tenere i contatti con gente che sta lontano mi basta Skype.

Oggi sarei dovuto uscire con alcuni di questi “amici”, ma poi ho fatto due calcoli con il mio cervello e mi sono detto che dopo 10 ore di duro lavoro una birra non valeva la pena per sorbirmi discorsi su la pagina 201 del mediavideo, gli apprezzamenti sul premier figo che a 72 anni tromba come un luccio, sul fantacalcio, sul superbo Transformers II, Call Of Duty XXVIII ed il nuovo cellulare NOKIA FAANCHEILCAFFE‘ (ma lo uso al 3% delle sue potenzialità). Per carità non voglio nemmeno qualcuno, come alcuni vecchi compagni di università, che mi smerigli gli zebedei con discorsi di sola e mera politica, filosofia hegeliana, arte e sbadigli. Una via di mezzo come quella mano iniziale che legge, preferisce i giornali invece di guardare culi su TG4, STUDIO APERTO e TG1, che va al cinema, ha un senso dell’’humor sarcastico e acuto, spara cazzate, è curiosa e assetata, ha interessi e ha voglia di muoversi piuttosto che invecchiare su una tastiera.

Non ho fretta e non mi piango addosso. In attesa di avere voglia di andare a cercare altri amici veri e forse una ragazza, queste serate ventose la passo da solo. Oggi ho un album fotografico che mi aspetta nella stube e mi sfrego le mani, cazzo. Di quelli vecchi, da completare con meticolosa lentezza. Ho preso il pennarello bianco e ogni singola foto la voglio scolpire con una frase scritta sul cartone nero in un bel corsivo che sia capace di ricordarmi quella giornata a distanza di anni. Mica semplice come compito. Ma, come al solito, non ho fretta e per trovare l’ispirazione vado in Canada e mi sento i Tesla.

Culo o sfiga. E’ sempre a seconda dei punti di vista. Cosa ha un Bon Jovi di più rispetto ai Tesla? Che volete vi dica? Capita e capiterà. Gli acerini sono davvero un’ottima band nel loro genere e sanno suonare un hard rock melodico potente che si sposa particolarmente bene con l’ugola del leader indiscusso Jeff Keith. "The Great Radio Controversy" è il loro prodotto che più mi piace ed entra così stasera nelle mura di casa mia con prepotenza sonora mentre cerco ispirazione mordicchiando il pennarello. Songwriting curato, ma per nulla originale, che prende a piene mani dall’hard rock stradaiolo USA con influenze blues e riff cadenzati che supportano veri e proprio inni. E’ proprio la fotografia del super mid tempo roccioso "Heaven’s Trail (No Way Out)" che tra backing vocals e ripetizioni ossessive del refrain ci entra in testa definitivamente con un assolo disperato. Si parte con un intro riflessivo in "The Way It Is". Punzecchiature di tapping alternate a arpeggio mentre Keith gracchia che è un piacere. Manco ce ne siamo accorti e siamo nel bel mezzo del brano che con sempre più vigore urla la sua melodia vincente. E come ogni band di livello i Tesla erano pure bravini a comporre lenti e “Love Song” è tra le mie preferite di quegli anni. Dolce con quella lunghissima introduzione di chitarra e la voce che sembra arrivi da un altro studio di registrazione tanto è lontana. Batteria e ritornello articolato e ridondante con tanto di assolo a cascata per sottolineare il bel motivo trovato. Non c’è che dire.

I Tesla sapevano il fatto loro e guardate poi che bella copertina che vi schiaffo in casapagina. Dai, non fate gli stronzi e trovate spazio nella vostra collezione per questo bel disco.

ilfreddo

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