Antefatto

Anni orsono, l’Affezionato Vostro fu assunto nella microdiscoteca con la qualifica di ‘spugnetta per stoviglie’ (quella double-face, morbida da un lato, ruvida dall’altro).

Riuscì nell’impresa perché all’esame attitudinale, dietro soffiata di un buttafuori corrotto, rispose così a due strane domande del Proprietario del Locale (che per brevità, indicheremo con l’acronimo PdL)

PdL - ‘Le piace il Rock Progressivo?’

AV - ‘Io…io…è il grande amore della mia vita! E voglio in questa sede ricordare i grandi maestri Keith Emerson e Jon Anderson, autore quest’ultimo insieme ad altri dell’irrinunciabile capolavoro ‘Fragilesssssssssssss’ (pronunciato ‘Freigiaaaailssssss’, ndr)

PdL - ‘Fra-gi-le!’ (pronunciato ‘Freigiaaaaail’, ndr)

AV - ‘Ah…sc-scusi…’

PdL - ‘E chi è Riciardcristofrrrrueeeeecmn?’ (ehm…non ho capito…) ‘UEEEEICHMNNN !!’

AV - ‘Ah, Wakeman!...Rick Wakeman!! è il padre del rock progressivo sinfonico! E io lo adoro come se fosse mio padre…’

PdL - ‘Complimenti, giovanotto! Lei è dei nostri!’

************************************************************************************************

Ecco, a distanza di pochi anni, in un sublime quanto fuggente momento-Potemkin quant’altri mai, avrei voluto poter rispondere così: ‘Il Rock Progressivo…è una cagata pazzesca!’ (sei secondi di applausi, anche se convinti, eh).

(A seguire)

‘Io amo il power-pop !!!!!!!’ (sottotitolo, se ancora vi resta un po’ di voce: ‘e voi fottetevi, vecchi Riccardoni onanisti’)

Ecco, il power-pop è quella roba lì, come faccio a spiegarvelo?

È un palestinese in kefiah davanti all’uscita di una sinagoga.

O un garzone di macellaio a un convegno di vegani, con tanto di grembiule insanguinato e doppi coltelli branditi a mo’ di spadaccino.

O un giovane che ha appena finito le medie inferiori, affetto da miopia congenita, col maglione a losanghe e le Mecap ai piedi, che in biblioteca in mezzo a vecchi, incartapecoriti professori che sfogliano preziosissimi incunaboli medievali, irrompe improvviso per esplodere a squarciagola il suo fragoroso urlo liberatorio: ‘ZAGOR-TE-NAAAAAAAAAAAAAAAAAAAY!!!

Insomma, una roba di quando ti senti ‘fuori posto’ col mondo. Che altri vogliono far rivoluzioni coi capelloni e coi cantautori, tu invece no.

Perché il power-pop è proprio la musica della gioventù ‘a parte’.

Quella che ascolti quando timoroso ti rechi di fronte allo specchio per vedere se il tuo volto è ancora tempestato da quelle terribili eruzioni rossastre di varia misura che ti deturpano le gote e la fronte, quando l’unica salvezza, oltre al Topexan, è la tua cameretta, con i giornaletti – si quelli, proprio quelli, perché va bene Zagor ma ci sono anche gli ormoni in esplosione – nascosti in fondo al cassetto.

Ed il tuo stereo che spara a palla canzoncine rumorose (non troppo, appena il giusto) che però fanno preoccupare seriamente mamma, che quando ti vede mentre ti eserciti come al solito nell’ultimo, fragoroso assolo di air-guitar o peggio ancora di air-drum, ‘oddio…ma cosa gli starà succedendo?’

E invece, non ti sta succedendo niente, perché in fondo in fondo vorresti…sì,

Vorrei solo mettermi con una ragazza rock’n’roll’

E uno come Paul Collins diviene di colpo il tuo Che Guevara.

Bruttino, eh, costui. Perché, nonostante allora fosse abbastanza giovincello, era piuttosto un Che dall’incipiente stempiatura, mica bello come un Dio Andino come quel Medico Argentino che faceva impazzire le ragazze stando su tante bandiere e sbucando da tutte le pareti.

Che poi, figurati, ma dove l’avresti mai trovato un suo…poster? ma di Paul Collins manco una fotografia, per piacere! Per aspetti più gradevoli, ci stavano alla bisogna e senza troppo allargarsi - che sì, nel genere, qualche belloccio cotonato di gentile aspetto pur c’era - i suoi due ex sodali Jack Lee e Peter Case, che insieme facevano con Paul il power-trio più figo – ed ignoto, allora - del power-pop, quegli Ammantati di Leggenda chiamati Nerves e non a caso il nostro Paolo il Calv(d)o dentro quei tre là stava relegato dietro una batteria, perché tre cantanti-autori-chitarristi non servono per fare un gruppo e allora ci si divide i compiti alla meglio, come va va.

(Non va…seppure almeno per qualcuno le royalties scorreranno copiose, se è vero come è vero che la loro ‘Hanging on the Telephone’ verrà portata a successo planetario da Debbie Harry e nobil compagnia. E non bastasse questa, il bel Jack Lee – RIP – riuscirà a far centro di nuovo per interposta persona, con la sua ‘Come Back and Stay’, che il soulster alla candeggina Paul Young per qualche periodo a metà anni ’80 farà sbucar fuori da ogni apparecchio radiofonico)

Dunque se due galli in un pollaio non ci possono stare, figuriamoci tre autori dall’appeal popadelico pazzesco in un unico gruppo. Ognuno per la sua strada (e ce ne sarebbe da dire e scrivere sulla partenogenesi…oh, se ce ne sarebbe…)

Quella di Paul porta qui.

Si chiameranno The Beat, e ovviamente, da perdenti appena nati e così fieri di esserlo, si può fare una scelta più infelice? Giacché dovranno dividere il nome con chissà quanti altri (uno su tutti: gli inglesi ska-reggae) e dunque allora sì, diamo al leader quel che è del leader: ‘Paul Collins’ Beat’.

Per voi giovani, dunque, ribadiamo; questo dischello non farà mai rivoluzioni, a parte come detto nella vostra cameretta en solitaire, ma è e resterà per sempre l’emblema di ciò che dovrebbe essere il rock’n’roll: musica in grado di intercettare ormoni in sommovimento, che tornerà utile quando volete alzare le gonne delle vostre compagne delle superiori, in una parola: musica in grado di ‘eccitarci’.

Alla bisogna provvederanno perciò dodici brani che tengono alta…ehm…l’asta che reca la bandiera della melodia pronta-presa, accordi giusti in scala e assoli senza strafare, ritmi che seguono il battito (the beat…) iperaccelerato di cuori nella tormenta adolescenziale, coretti perfetti che dagli anni ’50 sono il sale necessario ad insaporire la ricetta del rock’n’roll.

E se Buddy Holly avesse avuto la cresta, se i fratellini Wilson avessero voluto reindossare le camicie Penderton e reimbracciare i surf per le feste sulla spiaggia, se Phil Spector avesse voluto rendere ancor meno rumorosi ma senz’archi i Ramones di ‘End of the Century’ o semplicemente avessero ambientato nei Settanta ‘Happy Days’, ecco: questa è la musica che si sarebbe suonata.

*************************************************************************************************

Postfatto

E se pensate che i Green Day avessero scritto questa qui, beh…in realtà avete solo ascoltato Paul Collins’ Beat.

Forse sarebbe ora che li (lo) ascoltaste per davvero.

Carico i commenti...  con calma