Fino alla prima metà del 1965 i Beatles sono stati essenzialmente un gruppo di costume, una boyband per ragazzine che genialmente componeva hit su hit, senza mai mostrare il minimo segno di stanchezza. A differenza di molti altri gruppi, i Fab Four non si sono limitati a comporre una manciata di numeri uno e poi festa finita; hanno dimostrato di essere uno dei più grandi gruppi della storia (vorrei dire il più grande ma è meglio lasciare stare - i Velvet Underground si potrebbero offendere).

Molto spesso i Beatles sono stati considerati una manica di incompetenti a causa della semplicità dei loro brani e sono stati continuamente paragonati ai Velvet, ai Soft Machine, a chi più ne ha più ne metta... ma pochi hanno compreso come tale caratteristica non sia un difetto ma un pregio. Non parliamo di semplice orecchiabiltà come per gli U2 o per i primi Beach Boys, si parla di "universalità": la musica dei Beatles è "universale" come nessun'altra: fa piangere, fa ridere, fa sognare.... e va be ogni tanto fa anche un pò andare di corpo (se pigliamo "With The Beatles"). Ma si tratta di un'arte perfetta in ogni sfaccettatura, camaleontica, complessa ed essenziale allo stesso tempo. Sappiamo tutti che "Rubber Soul" ha aperto la strada, ma la vera rivoluzione è avvenuta nel 1966 con "Revolver". Da qui in poi ogni anno i Beatles avrebbero fatto passi da gigante.

Il 1967 è stato per i Beatles un anno miracoloso: in quanto ad album, sono stati prodotti due capolavori: "Sgt. Pepper's..." e "Magical Mystery Tour" (uscito solo in USA); in quanto a singoli, prima "Hello, Goodbye" (con lo splendido retro "I'm The Walrus"), poi con uno dei più grandi singoli di tutti i tempi: "Strawberry Fields Forever/ Penny Lane".

Sebbene il singolo fosse stato concepito con due lati A, a finire in classifica fu solamente il brano più commerciale dei due: "Penny Lane" (ma che strano....). Comunque Paul McCartney, carico di surrealismo e barocchismo, compose uno splendido brano, perfetto nella melodia e negli arrangiamenti. Neanche un secondo annoia: il barbiere che tiene in vetrina le foto della gente che ha conosciuto volentieri, il pompiere con la clessidra, introducono una nuova vivacità sia nel mondo beatlesiano che in quello psichedelico.

Ma è John Lennon che, fatta indigestione di acidi, tiene alto il nome della psichedelia: al contrario di quanto si possa avere da ridire sull'ottimismo di "Sgt. Pepper", "Strawberry Fields Forever" è oggettivamente un capolavoro. Scritta durante le riprese del film di Richard Lester "How I Won The War", il brano è certamente una delle più belle opere di tutto il decennio (e non solo). Non c'è traccia di commercialità come nella stuccosa "Hey Jude", non c'è l'ottimismo di "All You Need Is Love": c'è solo amarezza e rassegnazione, l'esistenza percepita attraverso la droga ("è facile vivere con gli occhi chiusi, storpiando ciò che vedi..."). Tutto mischiato a ricordi infantili: "Strawberry Fields" è il nome di un giardino vicino la casa di John. Una vita incerta sul futuro che rimane attaccata alle radici del passato, allontanandosi sempre più, ma mai separandosene. Passato è certezza. Futuro è nebbia. Forse è un'interpretazione molto personale, però credo di essere molto vicino a ciò che Lennon provava nel 1967, imprigionato nel matrimonio con Cynthia Powell, donna che lui non amava (se l'orgoglioso John leggesse questo, negherebbe sicuramente).

Lasciando stare i sentimentalismi, l'arrangiamento è sublime: la prima parte è eseguita con chitarra, basso, batteria e organo (ahh... che intro!); la seconda con l'orchestra (accellerata da George Martin del 5 %, poichè registrata in chiave e tempo diversi dalla prima strofa). Il risultato è impeccabile. Solo Lennon disse che faceva schifo e che presto l'avrebbe incisa nuovamente (che beota!).

"S. F. F." lo considero uno degli esempi più efficaci per spiegare come i pezzi dei Beatles (non solo di Lennon) nascondano dietro le note un significato ben più profondo di quello che siamo soliti attribuire a questi. Scusate, nel caso riteniate tutto questo una stupidaggine, ma è ciò che penso.

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