Una piccola premessa di carattere storico è, qui, necessaria.
Nel 1964 i Beau Brummels incisero un paio di singoli, che scalarono le classifiche d’oltreoceano, con la piccola etichetta Autumn e che li fece diventare il primo gruppo americano a rispondere con successo all’invasione britannica. Nel 1965, grazie al successo ottenuto, realizzarono due ottimi dischi, “Introducing The Beau Brummels” (che raccoglie anche i singoli “Laugh, Laugh” e “Just A Little” dell’anno precedente) e “Vol. 2”. Ma, mentre erano al lavoro per il loro terzo capitolo, l’etichetta che li aveva sotto contratto fallisce e viene assorbita dalla major Warner, la quale ritrovandosi in scuderia un gruppo da alta classifica li obbliga a registrare un album fatto di cover, prese da recenti hits di Beatles, Byrds, Mamas & Papas e perfino “Bang Bang” di Sonny And Cher, e a tralasciare il materiale originale a cui stavano lavorando, realizzando un buco nell’acqua a livello commerciale e minando la stabilità della band. Nel 2001 la Sundazed (con la preziosissima collaborazione del cantante della band Sal Valentino) mette mano alle registrazioni ‘dimenticate’ nel ’66 e se ne esce con questo album che riporta alla luce il lavoro perduto.

Originari di San Francisco, i Beau Brummels furono la prima ‘folk-band’ a scalare le classifiche, bruciando sul tempo anche i coevi Byrds, ed anticipando di qualche anno i fermenti psichedelici che esploderanno radiosi nella Bay Area. Pervaso da una profonda malinconia, “Gentle Wanderin’ Ways” mostra la band al suo apice creativo ed è ancor più incredibile se si pensa che al tempo non venne pubblicato. Alcuni episodi sono ancora in forma embrionale come l’acustica ballata “On The Road Again” o la morbida “Stay With Me A While”, a testimonianza dell’incompiutezza del progetto, ma che nel complesso ci mostra una band particolarmente ispirata e creativa, intenta a miscelare il cantautorato americano colto di Dylan e Cohen alle morbide costruzioni armoniche ‘british’ di Beatles e Kinks, che portano i meravigliosi frutti della ballata pop “Hey Lowe”, delle svisate psych-folk di “She Sends Me”, della desertica “This Is Love” o dell’inquieta title-track… solo per citarne alcune.
Ma la forza del disco è nella compattezza, dove ogni tassello entra perfettamente nella realizzazione del variopinto mosaico pensato, al tempo, da Ron Elliott, chitarrista ed autore. Il gruppo si sfalda e si ricombatta come trio, realizzando un altro paio di ottimi lavori per la Warner, lo sperimentale “Triangle” del 1967 e il country-oriented “Bradley’s Barn” dell’anno successivo, due buoni lavori ma che difettano della visione policroma della musica, presente in questo ‘non-album’.

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