C'è questa specie di sogno drogato, in cui sono Ian Brown in cerca di un po' di culi da calciare, in qualche locale fumoso della Manchester di fine anni 80, in piena era "24 Hour Party People", con Bobby Gillespie dei Primal Scream che mi gira intorno, la musica house che pompa bassi nel cervello, fumo, un sacco di fumo, volumi alti ed alcool a fiumi, facce di striscio, figure sfocate, grugni tenuti alti e cappellini sul naso, presenze femminili troppo flebili per essere reali, boccali di birra, vomito sul selciato, quella specie di panico che sale indefinitamente da qualche parte del corpo per poi espandersi dappertutto, ancora volumi troppo sostenuti, ancora figure di sfuggita, il ritmo che cresce, fuochi dentro i bidoni, segnali di sfida, poi più niente.

Mi sveglio, solo per accorgermi di stare sdraiato sul divano con lo stereo acceso, le cuffie alle orecchie. Dissolvenza.

Il significato del sogno è facile da decifrare: avevo nelle orecchie questi due inglesacci che si fanno chiamare Big Pink: il loro esordio, "A Brief History Of Love", è roba abbastanza recente.

Shoegaze a bollire nel pentolone insieme ad una insana attitudine baggie, suoni industriali, squarci di elettronica, un'indole pop "madchester", molto ma molto (ascoltate "At War With The Sun") Stone Roses.

Chi, come me, ha semplicemente adorato i dischi di Happy Mondays, Stone Roses, Primal Scream e GesùeMariaincatene, quel pop stonatissimo accerchiato da coltri di feedback e ritmi house, amerà questi ragazzi.

I Big Pink contestualizzano quel suono riadattandolo ai giorni nostri, con un pizzico, se vogliamo, di malizia in più. Sono anni che aspettavo melodie che mi colpissero in un modo così dirompente come quelle di "Velvet" e "Dominos" (singolo bomba); è pura tossicità pop quella che sprigiona da "Crystal Visions", coi riverberi delle chitarre che tentano di uscire dalla nenia catchy inscenata dalla voce. La già citata "At War..." possiede un passo dance come potevano averlo i migliori brani degli Stone, "Love In Vain" prende Richard Aschcroft e lo cala dentro un pentolone di lsd, "Countbackwards From Ten" chiude i giochi con tipica malinconia british. L'album perde un pochino di mordente prima della fine, con "Golden Pendulum" e "Frisk", che nulla aggiungono a quanto già sentito. Che comunque è un bel sentire.

Il 7 pieno lo merita tutto. Madchester is back.

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