Se dovessi indicare il miglior rappresentante di quel fantomatico movimento che andrebbe definito "delle tartarughe", al quale appartengono di diritto anche Peter Gabriel e David Sylvian, la mia scelta ricadrebbe inevitabilmente sullo scozzese Paul Bachanan, voce ed anima dei Blue Nile.
Quasi ventiquattro anni di carriera e solo quattro (!) album, otto anni in media tra un lavoro e l'altro. Tempi jurassici per un mercato discografico che brucia i propri idoli con la stessa velocità con la quale li crea. Ma Buchanan, senza temere di essere dimenticato e fiducioso nello zoccolo duro dei suoi rassegnati fan, segue imperterrito i suoi ritmi, la sua maniacale cura del particolare, la lenta maturazione dei suoi brani; scrivendone moltissimi, così lui afferma, ma sono solo pochi quelli che riescono a superare il rasoio dell'implacabile autocritica.
Quando ormai molti cominciavano a pensare che i tempi lunghi dell'eccessivo suo perfezionismo gli avessero definitivamente chiuso le porte del music biz o condotto ad un esaurimento nervoso senza ritorno, ecco apparire High; e così la gigantesca clessidra può essere di nuovo capovolta.
Anche stavolta non vi sono cambiamenti di rilievo. Del resto è inutile attendersi rivoluzioni da chi, in modo quasi certosino, è votato all'impresa di riuscire a realizzare la pop song ideale. Così, come altri grandi artisti, Buchanan varia sul tema, cesella e lima quella che a molti potrà sembrare sempre lo stesso schema-canzone.
I nove brani dell'album sono gli ennesimi tentativi di centrare il bersaglio e anche stavolta, come già con Hats, egli ci va maledettamente vicino. Essi sono immersi in quella magnifica malinconia che ben conosce chi ha avuto modo di ascoltare altri lavori: elettronica scarna, drum machine al rallentatore, la chitarra o il piano elettrico che ricamano la melodia, la voce inconfondibile di Paul che dà corpo ai testi mai banali, spesso vere e proprie " tranche de vie".
Testi "vietati ai minori", e non per il motivo al quale pensate, ma perché le problematiche, i temi possono essere apprezzati e goduti solo da chi ha conosciuto le gioie, le crisi, i tormenti della vita di coppia. Ascoltando brani come "The days of your lives" o "High", mi sono tornati alla mente le immagini di alcuni film di Antonioni e Bergman, aventi come temi centrali l'incomunicabilità e la contraddizioni del rapporto amoroso.
Un album, quindi, molto intenso, che emana un fascino al quale è difficile sottrarsi. Brani quali "Soul Boy" o "Stay Close", qualora facessero breccia, rischiano di divenire indispensabili, soprattutto nei periodi nei quali le cose non girano per il meglio.
È il caso di approfittarne: la prossima occasione i Blue Nile potrebbero non darcela molto presto.
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