Il 1968 si era aperto malissimo per i Byrds, nonostante l'ennesimo ottimo album, l'avvincente "The Notorious byrd brothers". Il treno del successo di massa era ormai passato, e altri gruppi in ambito westcoastiano, dai Doors agli stessi Buffalo Springfield, stavano conquistando il centro della scena. Le spinte centrifughe che da sempre caratterizzavano la band jingle-jangle si erano inoltre dilatate: dopo Gene Clark, toccò a David Crosby lasciare Roger McGuinn al suo dispotico giogo, privando il gruppo della principale forza in senso prettamente compositivo. McGuinn e Hillman si trovarono così con le spalle al muro (se ne era andato anche il batterista Michael Clarke). Fu proprio Hillman a trovare l'idea per rimettere in carreggiata la band: fiutando il nascente vento country-rock, il bassista decise di cooptare l'astro più fulgido del genere, Gram Parsons. Il futuro grievous angel, con il grezzo ma sorprendente "Safe at home" della sua International Submarine Band, si era per primo avventurato con piglio rock nei ruvidi e accidentati sentieri del country per comunicare la sua aperta visione del mondo, e il suo ingresso rivoltò come un calzino la band.

Il risultato fu "Sweetheart of the rodeo", probabilmente il più importante album country-rock di sempre, nonché canto del cigno degli stessi Byrds. Hilmann del resto era sempre stato il Byrd più orientato verso Nashville: la sua "Time between" su "Younger than yesterday" presentava infatti ruspanti e pionieristici inserimenti di chitarre bluegrass. Il carisma e la versatilità musicale di Parsons, ufficialmente entrato nei Byrds come tastierista, fecero il resto, plasmando oltretutto la presa emotiva dell'album, composto da undici episodi intensi e articolati capaci di instillare nel loro sound richiami e visioni chiaramente ispirati alle infinite distese americane, come i coevi album di The Band e Creedence Clearwater Revival: non a caso le uniche due composizioni autografe della band erano farina del suo sacco, mentre il resto del disco era composto da cover di traditional, o del solito Dylan. Il tirannico McGuinn si riservò però le parti vocali di quasi tutti i pezzi, anche della "one hundred years from now" di Gram (tutte le alternate-takes sono però disponibili nella deluxe edition dell'album, di cui si consiglia vivamente il recupero). Sentendosi decisamente sottovalutato, Parsons avrebbe poi defezionato, adducendo a pretesto un tour nel Sudafrica razzista, per poi raggiungere ulteriori vette artistiche con i Flying Burrito Brothers e da solista, diventando un'influenza basilare (un nome a caso: Keith Richards su "Sticky Fingers"). Ma quel che contava era fatto.

Ad illustrare la magnificenza di "Sweetheart of the rodeo" basterebbe il primo brano, "You ain't going nowhere" di Dylan, tratta dagli (allora inediti) Basement Tapes. Le luccicanti fragranze jingle-jangle della chitarra di McGuinn accelerano il passo della versione originale, coadiuvate da un superbo lavoro di pedal steel e da armonie vocali maestosamente country, e regalano probabilmente il miglior omaggio fatto dai Byrds al loro più illustre mentore, proprio come la conclusiva "Nothing was delivered", resa come uno struggente e definitivo canto libero dei Sixties.

Già, i Sixities. Di quella decade libertaria i Byrds erano stati tra i principali cantori: come era possibile che il gruppo che aveva intonato uno degli inni psichedelici più intensi ("Eight miles high") potesse avventurarsi tra standard gospel quali "The Christian Life", i tintinnii canonici di "I am a pilgrim" o "Life in prison", esaltazione dell'american way of life più tradizionale? Lungi dall'aver abiurato lo spirito dell'epoca, i Byrds avevano semplicemente affidato il timone a Parsons, il bohemien harvardiano che scavava nella musica dei padri per riverniciarla di vicende e personaggi coi crismi dell'anticonformismo e della modernità, con l'azzardo di chi possiede una propria cifra stilistica, come ampiamente dimostrato dalla qui presente "One hundred years from now". Un pezzo sublime, cavallo di battaglia dal vivo per anni di Stephen Malkmus, che alterna uno struggente senso di disorientamento a una sanguigna e vivida auto confessione sul proprio stile di vita senza regole. Ancora meglio è la sublime ballata "Hickory wind", il gioiello più prezioso nel canzoniere di Gram. Divini intarsi di steel guitar puntellano lo stupito ed elegiaco rimpianto di un'infanzia dolce come un tramonto nel midwest, simbolo di una purezza perennemente inseguita ma irraggiungibile.

Prima che l'ago si portasse via anche lui.

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