Avrei voluto iniziare questa storia con il "C'era una volta" come le favole, ma non lo farò, perchè nelle favole c'è sempre un lieto fine, "tutti vissero felici e contenti", mentre qui l'epilogo è dolceamaro. Il gran cerimoniere del racconto, manco a dirlo, è sua maestà il Tempo che ruba per sempre pezzi di vita ma con perfida clemenza concede il beneficio del ricordo.

Anno scolastico 1985/86.

Eccomi qui, quindici anni, timido e alienato, direi imbranato se non fossi mosso da autoindulgenza. Venendo dalla provincia l'emancipazione, in termini di vestiario e in generale di gusti, latita vistosamente. In aula mi sento un montanaro a Formentera. Ne sono fin troppo consapevole, ma nel caso lo dimenticassi ci sono fortunatamente i miei "compagni" di classe a ricordarmelo, come quel giorno in cui sostennero che i miei pantaloni di velluto fossero stati ricavati dalle tende di casa o quando asserirono che le mie sneakers, avendo quattro strisce anzichè tre, fossero più preziose delle Adidas. E poi l'episodio degli episodi, quello marchiato a fuoco nella mia mente: due studentesse che siedono dietro di me richiamano la mia attenzione con un quesito di vitale importanza:

" Gianè, p'cce da dò scenn e da dò n'gapp? (Gianele, perchè da qui scende e da qui incappa?)

Una delle due fa scivolare la mano dall'alto verso il basso sul seno dell'amica e poi ripetendo il movimento al contrario trova l'ostacolo arrestandosi. La mia faccia in fiamme, imbarazzato farfuglio cose sconnesse e loro sogghignano divertite, la mia goffagine e direttamente proporzionale alla loro sfrontata disinvoltura.

Con il tempo ci sono arrivato anch'io a capire "la fisica dei corpi" e ho affinato i miei gusti sebbene convinto del classico inoppugnabile "l'abito non fa il monaco", ma c'è un campo nel quale sono stato un antesignano, un precoce adepto e non c'è bisogno che aggiunga quale. Ebbene si, sono imbranato, ho calzoni di velluto e scarpe poco invidiabili ma, al contrario dei miei compagni di classe, la salsa per me non è mai stata elettrica! Tie!

Giorno imprecisato.
Ore 14.00.
Campanella fine lezioni.

Ho mezz'ora di tempo per raggiungere in un chilometro scarso il pullman che mi riporterà a casa. La maggior parte del tragitto è in via Re David, dove nell'isolato prima della svolta sull' Estramurale Capruzzi, al civico 1/I si trova Murales. Negozio di abiti usati (successivamente passato all'etnico) è una mecca per chi ama vestire in modo alternativo. Come anzidetto, ignoravo tutto ciò e avrei continuato a farlo se le mie orecchie non avessero catturato quella cosa, quel suono, la sorpresa.

Drip drip drip drip drip... [cit.]

La lotta contro il tempo per non perdere il pulmann (la mia fame mi fa minacce di morte) mi costringe a proseguire spedito non indugiando più di tanto sulla vetrina, ma mi riprometto che appena possibile metterò piede in questo tempio. E lo faccio, alla prima assemblea plenaria, sistematicamente boicottata. Sarà stato qualche giorno dopo poichè entrando ho notato che nell'aria planavano ancora i Cure. Quando ho scoperto il nome della band? L'indomani in classe, canticchiando il motivetto in maniera strampalata all'unica persona con cui legavo, per giunta darkettone. I pensieri dopo quarant'anni sono un po' confusi ma ricordo distintamente le luci poco intense che conciliano con l'ambiente, quei capi appesi che mi trasmettono curiosità e la musica che mi rapisce. Mi perdo nei nomi delle band sulle t-shirt, nomi che man mano conosco e apprezzo. Quella dei Cure la compro. Il negozio, insieme alla New Records, diventa tappa fissa dei miei peregrinaggi giornalieri, la mia seconda casa e quell'incipit mistico, con i tre armonici in sequenza, il rumore di sottofondo delle mie giornate. Giorni che bruciano come il fuoco del Cairo, mi seducono in modo così elegante e non cercano mai d'ingannarmi [Object] Il tempo è mio alleato, la giovinezza e il vigore sono dalla mia parte, il futuro radioso. Sogno ad occhi aperti tre ragazzi immaginari nel mio mondo reale.


Giorno imprecisato.
Ora imprecisata.
Decennio 2000

"Waiting for the telephone to ring, and I’m wondering where she’s been and I’m crying for yesterday
and the tap drips drip drip drip drip drip drip drip drip"

Smith aspetta un Godot, o meglio una Godot, che non arriverà mai, cristallizzato nel tempo di una canzone. Eh si, perchè solo nelle canzoni o nelle poesie ci si può permettere d'aspettare all'infinito qualcuno o qualcosa. Nella vita reale purtroppo no, il tempo non aspetta nessuno, cambiando orizzonti e scenari. Dieci anni dopo Murales non è più lì, ha cambiato via e civico e la magia s'è dissolta. Ne cambierà diversi altri prima d'emigrare definitivamente in provincia congedandosi per sempre da Bari.

Il civico 1/I di via Re David oggi riporta un'insegna che recita "Tappezzeria e Tendaggi". Ho scrutato il negozio cercando di ricreare mentalmente quella che era la disposizione degli scaffali e il titolare all'interno si è insospettito. Avrei voluto dirgli quanto quel posto fosse importante per me, parlargli dei Cure (magari li conosce o magari no), dei tempi della scuola, le ragazze che giocano ad imbarazzarmi con i loro seni, le corse a perdifiato per non perdere il pullman e quell'occhio buttato sempre e comunque sulla vetrina. Avrei voluto dirgli mille cose ma non ho detto niente. In fin dei conti non è lì per ascoltare un inguaribile romantico ma per aspettare clienti, possibilmente facoltosi. Ecco che tutto torna, ognuno di noi aspetta qualcosa. Solo che oggi Godot è capitato a me, fermo davanti a una vetrina colma di stoffe, aspettando un tempo che non arriverà più.

"and the tap drips drip drip drip drip drip drip drip drip
It’s always the same"

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