Qual è stato il primo gruppo punk inglese in ordine di tempo a pubblicare un 45 giri? E quale a far uscire il primo 33? E ad andare per primo in tour negli USA? E a sciogliersi per primo quando non eran trascorsi che un paio di mesi dall'uscita del loro secondo album, per il quale avrebbero voluto lavorare in sala di produzione niente meno che con Syd Barrett, dovendo accontentarsi viceversa del suo sodale Nick Mason? E a riformarsi mantenendo in vita una ragione sociale che dura fino ad oggi, pur non essendo ciò assai probabilmente un bene?

Se avete risposto Damned ad una qualunque delle precedenti domande, vi siete aggiudicati uno sputo - o se preferite, una lattina - in mezzo alla fronte. Sì, proprio loro, i Dannati londinesi. Quelli che all'appuntamento col vinile e dunque con la storia fregarono sul tempo sia i Sex Pistols che i Clash. Quelli che scelsero come cantante uno che faceva il becchino e a cui piaceva travestirsi da vampiro, ossessionato com'era dal mito del conte Dracula. Quelli che ebbero in origine un chitarrista geniale, ma - ahiloro! - se lo lasciarono scappare troppo presto (inciso n.1: qualcuno, un giorno, si prenderà pur la briga di glorificare Brian James e i suoi Tanz der Youth). Quelli ai quali chi scrive è stato disposto a perdonare anche tutte le innumerevoli brutture degli ultimi vent'anni e mezzo - e quante ce ne han propinate! da riempirci un paio dei loculi che tanto ama Dave Vanian...-, in cambio di un primo disco che fece capire nel bel mezzo dei Settanta quale linfa rigeneratrice il punk poteva apportare al moribondo corpo di (un certo tipo di) rock.

Ma quanto furono punk i Damned? Qui sta il busillis. Se vale la teoria del punk come attitudine più che come genere ormai pronto - ed eravamo solo nel 1976... - a divenire stereotipato, i Damned di quella primissima ed irripetibile stagione furono un gruppo straordinariamente punk. Proprio per questo contribuirono a rivitalizzare la musica agonizzante che stava loro intorno tanto quanto gli altri loro coevi compari. Forse di più.

Guardiamo la copertina del loro epocale debutto. Niente slogan né proclami né tanto meno politica, nessuna estetica provocatoria e neppure il ghigno incazzoso alla Sid Vicious. Solo quattro impuniti sbruffoncelli che preferirono, incuranti di un immaginario di lì a poco circoscritto in rigoroso clichè, la goliardia da ragazzacci rock'n'roll che si tirano torte in faccia per poi leccarsele l'un l'altro. Più Belushi-Bluto di "Animal House" che Johnny Rotten. Non per loro mentori alla McLaren che preparavano la grande rock'n'roll swindle, ma uno schietto e ruspante soggetto cresciuto a pane e pub-rock come Nick Lowe, che sempre sia lodato (inciso n.2: qualcuno, un giorno, si prenderà pur la briga di glorificare tanto lui quanto gli altri vecchi leoni quali Brinsley Schwarz e Dave Edmunds).

Nelle dodici tracce di "Damned Damned Damned" alligna pertanto lo spirito più genuinamente sincero, dissacrante, violento e malato del rock. Quel medesimo spirito per cui a ragion veduta si ritiene che a Detroit arcinoti come Stooges e MC5, così come a Sydney oscurissimi come Missing Links inventarono senza saperlo il punk-rock con quasi un decennio di anticipo. Se in quei giorni Iggy non fosse andato a "ripulirsi" alla corte del Duca Bianco, ma fosse per caso passato per Londra, molto probabilmente oggi non sarebbe vivo ma avrebbe magari cantato in quei Damned. Il suo alito marcio sarebbe stato il soffio vitale che avrebbe benedetto brani che sembrano autentiche outtakes di "Raw Power" con il plusvalore dato dalla carica dirompente di quei giovani cazzoni ("Fan club", l'epico e inarrivabile crescendo di "Feel the pain", con Brian James che urla al mondo quale immane stronzata sia dire che i punk non sanno suonare). Mi piace poi immaginare la faccia dell'ascoltatore-medio di metà Settanta, quello pasciutosi a Yes e EL&P, quando dalle casse gracchianti della radio fuoriuscirono riff spiazzanti accompagnati da ritmi ipercinetici e da suoni buona-la-prima come in "Neat Neat Neat", "I fall", "Stab your back" o "See her tonite". Oppure l'intro marziale inaudito di "New Rose", pietra angolare che non sappiamo in quanti milioni di casi è stata il primo motore che ha spinto qualcuno a formare una band.

Per finire, visto che le "colpe" dei padri a volte possono ricadere giustamente sui figli, ecco i Nostri alle prese con "1970", cavallo di battaglia proprio dell'Iguana e depravata famiglia. Manco a dirlo, trattato alla maniera settantasettina. Più realisti del re. Niente voli pindarici, niente sax, niente dilatazioni free. Meno di tre minuti brutti, sporchi e cattivi come raramente (dico Radio Birdman, dico Saints) il punk-rock fu in grado di sintetizzare. Cambiandone pure il titolo.

"...Senti il dolore...A me va alla stragrande...". Via le cuffie stereofoniche, si poteva davvero tornare nei garage e per strada.

La risurrezione del rock passò per l'ennesima volta attraverso una dannazione.

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