E’ un tiepido pomeriggio del 1986; inutile chiedersi dove ci troviamo, la scena si svolge in un topos immaginifico, teatro del becero consumismo degli anni ’80. Ai piedi di un grande edificio, Lino Banfi in versione clochard si sta esibendo, davanti ad un esterrefatto Michele Placido, in una jam session dal titolo “incazzeto”, una sorta di moderno inno alla gioia beethoviano per campanelli, clacson e utensili vari. Alla fisarmonica, quel gran pezzo di carpaccio di fica di sua figlia (appena un gradino sotto a Gegia in versione portinaia da fibra ottica).
Non ci sono dubbi che se da quelle parti fosse passato Mike Patton sarebbe senz’altro rimasto colpito da tanta ardita sperimentazione e da sì raffinata innovazione strumentistica. Perché Michele soffre di una singolarissima ossessione compulsiva: se trova qualcuno intorno a lui che riproduce una qualsiasi sonorità, lo trascina in studio e ci tira fuori il side project. È più forte di lui.

Cambio di scena, USA 2002. I Dillinger Escape Plan sono già un gruppo conosciuto e apprezzato nel giro degli alternotrucidigrindhardcore grazie a quell’abrasivo "Calculating Infinity" che sarebbe bello mettere come radiosveglia ad un fan dei Franz Ferdinand*. Pertanto, consci dei propri mezzi, un bel giorno i nostri si dicono: “e noi chi cazzo siamo, the sons of the priest? Facciamola anche noi una collaborazione con Michele.”
Così i nostri intraprendenti giovini prendono le pagine gialle e cercano alla categoria merceologica “Side-progettisti”.

Dillinger Escape Plan: Mmm vediamo, Skin nemmeno per il cazzo, Billy Corgan no, è impegnato nella direzione artistica del prossimo Sanremo, ah eccolo qua: Patton, Mike
- Driiiiiiiiiiiiiiin –
Mike Patton: pronto, sono il generale Patton, sono più ganzo di Oliver Hutton, se il vostro side project ha un nome italiano mi si infiamma il deretano
DEP: Ehm… eeeergh... sì, signor Patton buongiorno… scusi il disturbo, siamo... siamo i Dillinger Escape Plan, forse non ci conosce. Abbiamo fatto da spalla ai SOAD… s-saremmo onorati se lei volesse concederci... si, insomma… se facesse una collaborazione con noi... sa, non abbiamo nemmeno più il cantante però avremmo un EP già quasi pronto
MP: Ok, ma che cazzo di musica fate?
DEP: Be’, non amiamo molto essere etichettati... si potrebbe dire metal duro ma sperimentale... sa, roba cazzuta… influenze hardcore, a volte anche qualcosa di jazz… lo abbiamo ascoltato il primo disco dei King Crimson, sa? Ci piace di bruno, non è che siamo uno di quei gruppi che conoscono solo Metallica e Black Sabbath... insomma... pensiamo che possa interessarle… sì, cioè... lo speriamo.
MP: mmm… metal hardcore? Sì, mi intosta l’idea di una collaborazione musicale di questo tipo… sapete, l’ultima esperienza musicale estrema che ho avuto è stato quando mi sono fatto un raspone legato per il collo alla porta mentre ascoltavo Orietta Berti a manetta… un vero trip malato: ragazzi, per l’amor di Dio: non fatelo, so che siete giovani e che un’esperienza simile vi attrae, ma abbiate la forza di dire NO
DEP: uhm… eehmm... s-s-sì, certo, ci staremo attenti, grazie per il consiglio signor Patton. Ma… ecco... tornando al nostro EP, quando possiamo vederci per registrarlo?
MP: Be’, in questo momento sono impegnato con i Tomahawk, non ce la faccio proprio a incontrarvi... sapete, mi piglia brutto dirgli che me ne vado via… c’è quello dei Jesus Lizard che coglie ogni occasione per depauperarmi i coglioni… facciamo così: mandatemi i pezzi, io ci incido sopra le mie parti e poi ve lo rispedisco

Proprio così: Mike fa anche collaborazioni per corrispondenza. È veramente il più cazzuto di tutti. Tu gli spedisci le tracce, lui le sovraincide e te le rimanda a stretto giro di posta!**
È in questo modo che viene fuori “Irony Is a Dead Scene”, un gioiellino di 20 minuti dove la dirompenza dei DEP si fonde con la sindrome zappiana di Michele; l’apertura di "Hollywood Square" ti travolge con un muro sonoro violentissimo, per poi sfumare pattonianamente in una sorta di rivisitazione di “For Calvin” di zio Franco. I cambi di velocità e di stile si susseguono senza soluzione di continuità, così come nella successiva “Pig Latin”, che è schizofrenia allo stato puro; “When Good Dogs Do Bad Things” è la chicca: si apre con la solita botta di decibel che ti fa andare a soffitto (le overture da attacco miocardico sono un vizio che hanno questi gran figli della mugnaia), per poi passare ad un intermezzo ossessivo, con una litania quasi cerimoniale e terminare in pieno stile Faith No More. Alla fine, giusto per non sbagliare, i nostri ci piazzano dentro anche una cover di “Come to Daddy” di Aphex Twin: il pastiche è servito.
In definitiva, si potrebbe definire “Irony Is a Dead Scene” come un ricercatissimo trionfo del non-sense, che va asoltato di botto e che ti lascia con la gradevole sensazione di non averci capito un cazzo. “Fanno sul serio o mi stanno pigliando per il culo?”. La domanda è destinata a restare priva di risposta. Perlomeno fino a quando il buon Mike non si deciderà ad alzare il telefono e chiamare Lino Banfi, per dare finalmente vita a quel sodalizio che attende ormai da 19 anni. Solo allora il quadro sarà completo.

Nota dell’Autore: La presenza di Mike nelle pagine gialle, la nomina di Billy Corgan a direttore artistico di Sanremo, la conversazione tra i DEP e Mike e gli atti di onanismo durante l’ascolto di Orietta Berti sono completamente inventati. Ogni corrispondenza con la realtà è da considerarsi unicamente una botta di culo. È invece vero che Mike si è fatto mandare i pezzi perché era troppo impegnato: lo hanno raccontato i DEP in un’intervista a Rumore.

*Sì, a me stanno sul cazzo i fans dei Franz Ferdinand. L’ho già detto [v. rece dei built to spill]: il fatto è che sono dei fighetti da giastcavalli del giovedì sera . Dio sa quanto mi stanno sul cazzo i fighetti [v. rece di Frank Zappa].
** Devo farmi dare l’indirizzo IP di Mike, così gli propongo di fare un side project via NetMeeting.

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