Non bisognerebbe prestare mai niente, è brutto da dire, ma è così. Per esempio, chi è che avrà la mia copia in vinile di "The end" di Nico? E chi è che ha fatto un filtro usando la copertina di "Juke box all'idrogeno" di Allen Gisberg?

Boh, non lo so...non mi ricordo.

Mi ricordo invece assai bene chi è che aveva, e dovrebbe ancora avere, la mia copia di un libriccino smilzo smilzo che avevo comprato a quattordici o quindici anni coi miei risparmiucci.

Quel libriccino, di cui mi sovviene un unico verso a proposito dell’odore della pioggia, lo prestai a uno dei tipi più stravaganti della mia città, un percussionista dotato della risata più fragorosa che avessi mai sentito fino ad allora.

Già strano a quei tempi, quel tipo è oggi uno che anche d'inverno se ne va in giro scalzo e a petto nudo e spesso troneggia su una bicicletta di sua invenzione provvista di pedali anche per le braccia.

Io ogni volta che lo vedo penso a quel libriccino, ma non mi va di chiedergli di restituirmelo.

La sua stravaganza lo ha portato ad essere uno dei personaggi più odiati della città e non mi ci voglio mettere pure io a rompergli le scatole. Inoltre credo che Morrison sarebbe contento sapendo che un tipo simile legge i suoi versi.

Ah si, forse non ve lo avevo ancora detto ma quello era un libriccino di poesie del vecchio Jim.

Che poi se il libriccino è la prima cosa, la seconda son le scale dell'appartamento di Orsetto, il mio migliore amico a quei tempi...le scale e un suono di organetto/pianola piuttosto salterino (oltre che piuttosto incongruo e piuttosto magico) che proveniva dalla sua cameretta.

E io appena sentii quel suono la mia vita quasi cambiò. Ma non so come fare a spiegarvelo.

Che non so se Ray Manzarek fosse o meno un grande musicista, non so se suonasse dritto o storto, giusto o sbagliato. So solo che quel che suonava ti entrava dentro senza chiedere permesso.

E so che quella felice incongruità dal punto di vista musicale era il valore aggiunto di quello che altrimenti non sarebbe stato che un solido rock blues. Un solido rock blues e non quella specie di cabaret dell'anima che aveva come altro ingrediente base la poesia.

Si, la poesia, ecco perché quel libriccino di cui parlavo all’inizio è importante,

Comunque, l’imprinting sulle scale fu “Soul kitchen”. E "Soul kitchen" parla di cibo per l'anima e parla del rifugio, del rifugio notturno

E io , se penso al rifugio, penso a un posto, un posto in cui si sta bene e mi viene in mente Giorgio, un signore vecchissimo che sta in una casa di riposo.

Ecco, a Giorgio piace mettersi nella sala grande, vicino ai bidoni bianchi del riciclo (carta, plastica, vetro). I bidoni sono due e sono affiancati, così lui arriva e li sposta, uno di qua e uno di la, e, felicemente incastarto, ci si piazza in mezzo.

Io ci lavoro in quella casa di riposo e mi tocca spostarlo, perché, ovviamente non può star li, però cazzo mi dispiace, perché quello è il suo posto, e li ci sta come quei gatti che si infilano giusti giusti in una scatola da scarpe.

Ecco, questa canzone dei Doors parla del posto. E fuori dal posto è la notte con la gente che ti guarda storto e le luci che sembran quasi nemiche.

Fuori fa schifo, ma il posto è bello...c'è una calda stufetta e c'è il cibo dell'anima. Ma, soprattutto, nel posto si impara una cosa importante, si impara a dimenticare.

Che "Soul kitchen" non è altro che una piccola taverna nella notte, una di quelle che vorresti non chiudesse mai...

E forse è pure una specie di mamma, come i bidoni per Giorgio. E, credetemi, ci sono mamme molto peggiori di due bidoni bianchi..

Ma dobbiamo parlare di un'altra piccola perla, che in un raro o forse rarissimo quarantacinque giri “Soul kitchen” è il lato b di “Take it as it comes”.

E “Take it as it comes” è una favolosa canzoncina di strana e spensierata magia. L’organo che la sostiene ha, nello stesso tempo, qualcosa di infantile e di sacro ed è involucro adattissimo per un testo che unisce mirabilmente sacro e profano, misticismo e sensualità.

E il “prendila come viene” del ritornello è uno slogan perfetto, ma non son certo parole buttate li. Oh no, non lo sono, non lo sono davvero . E, come altri memorabili versi morrisonian, se ne stanno in cima ad un castello di carte che si tien su a colpi di poesia.

Gli slogan li sanno fare in tanti, ma altra cosa é che un verso diventi il punto di arrivo di un milione di strade.

Che poi io me lo vedo il nostro Giorgio canticchiare “Take it easy baby, take it as it comes” mentre se ne sta incastrato tra due bidoni.

Peccato che non sappia l’inglese.

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