Amanda Palmer è una logorroica, intensa e ingenua cantautrice, sa suonare il piano ma solo ad orecchio, è venuta fuori fortificata da una adolescenza da disadattata e mette il tutto in musica.
Brian Viglione è innamorato di Amanda, per lei suona la batteria con follia jazz e energia punk, picchia sui piatti sempre con un occhietto puntato sulla sua amata cantautrice per cogliere un sorrisino di approvazione e complicità.

Definiscono la loro musica "brechtian punk cabaret" perché adorano le atmosfere oscure dei kabarett anni '20, si vestono di conseguenza come bamboline di porcellana e sperano di comporre musica altrettanto decadente e sensuale.
Ma credo che sia tutto un po' più complicato di come appare.
Perché, a sentirli bene, non è l'immagine accattivante il punto di forza di questo duo, il fatto è che... semplicemente la loro musica è morbosamente affascinante.

Già nell'iniziale Good Day è chiaro che i testi di Amanda e la sua voce profonda e teatrale sono la spina dorsale delle bambole, il meglio viene fuori proprio nei pezzi più intimisti, la già citata Good Day, Half Jack (biologia e psicologia, siamo metà nostra madre e metà nostro padre davvero?), Bad Habit (autolesionismo adolescenziale spiegato agli adulti), The Jeep Song (se anche tu vedi ovunque la macchina del tuo/a ex in città), Slide (filastrocca che vedrei bene in un album di Nick Cave, con finale infiammato e dolente).
Anche le "hit" come Girl Anachronism e Coin Operated Boy dietro un muro di note nervose e ritmi incalzanti nascondono un'ironia amara e destabilizzante.

Qualcuno potrebbe benissimo dire che i Dresden Dolls sono arrivati al "successo" grazie all'immagine, ai bei video, alle melodie orecchiabili, ma io continuo a vederci qualcosa di più, fosse anche solo la sincerità spiazzante dei testi o quello spirito ferocemente introspettivo da "non più adolescenti ma non ancora adulti", forse semplicemente il bisogno di una nuova melodia da tenere in tasca per il presente.

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