Chi davvero se ne intende di country rock non darebbe cinque stelle a "Burrito Deluxe", fratello minore di "The Gilded Palace Of Sin" nonché secondo ed ultimo disco d'inediti per Gram Parsons assieme ai Flying Burrito Brothers. L'esperto di cui sopra al massimo si limiterebbe alle quattro stelline, ma io non me la sento di non dare il massimo dei voti a questo lavoro.

Lo faccio perché amo il sound di questo disco, ma principalmente per una questione, se così posso dire, di  "fatalismo" inerente questo disco. "God's Own Singer" è il titolo di una canzone quivi inclusa ed al contempo l'epitaffio sulla lapide di Gram; abbiamo un brano intitolato "Down In The Churchyard", per non parlare della cover dello standard "Farther Along", che nel '73 sarà coverizzata dai Byrds, i quali intitoleranno allo stesso modo il loro disco di quell'anno. Quella canzone, in quell'album di Roger McGuinn, venne cantata dal chitarrista Clarence White, che morì poco dopo. Alla sua morte, come abbiamo più volte raccontato, seguì di poco la dipartita dello stesso amico-nemico Gram Parsons.

"Burrito Deluxe" è un disco che non ha dentro di sé la bellezza indiscutibile di "Hot Burrito #1" o l'ingegno di "The Christine's Tune", ma contiene parecchi ottimi ed interessanti spunti di riflessione.  Innanzi tutto, causa la fuoriuscita di Chris Ethridge, Chris Hillman torna al basso (e lo si può sentire, col suo modo sghembo ma coreografico di pizzicare le corde), mentre al suo posto arriva il signor Bernie Leadon, che con Hillman ha già suonato in una band di bluegrass del pre-Byrds, e che ha già credenziali da vendere nel settore del country, basti pensare all'eccezionale debutto della Expedition di Dillard & Clark, a cui Bernie partecipò attivamente coadiuvando i due del sidecar alla scrittura di quasi tutti i brani. Leadon, per inciso, di lì a breve sarà uno dei fondatori degli Eagles.

Rispetto al  predecessore, "Burrito Deluxe" vira più verso il rock, tanto da sembrare più un disco rock suonato da country men che un vero e proprio long playing di country-rock. Già nell'iniziale "Lazy Days" pare che gli Stones abbiano preso in consegna una mandria di vacche e che, per errore, siano finiti in Messico durante la transumanza. "High Fashion Queen" pare un rock n'roll anni '50, su cui il basso di Hillman viaggia come un vero contrabbasso. L'outtake di Dylan "If You Wanna Go, Go Now", per la sua forma  e per come viene "rispettata" dai Brothers, sembra aver di recente percorso l'autostrada 61, con le sole armonie vocali, a dir poco sovrastanti, a fungere da diversivo alla perfetta canzone rock dylaniana.

In "Man In The Fog" la matrice bluegrass di Bernie Leadon si manifesta interamente: qui i Rolling Stones sono finiti, sempre colle vacche al seguito, sul picco più alto della catena degli Appalachi, ed hanno finito per costruirvi una baita dove si ballano solo quadriglie rockettare. "Older Guys" è il perfetto esempio di quanto si sosteneva prima: è un brano rock venato di country, e non il contrario. In "Down In The Churchyard", poi, di country ne rimane pochino davvero, qualche brandello al massimo, sebbene più che un brano rock sembri un powerpop fatto in Inghilterra, in alcuni tratti sostenuto addirittura da ottoni.

Ma è nella coverizzazione di composizioni nashvilliane che l'evoluzione sonora si percepisce in modo maggiore. Quelle che infatti sarebbero dovute essere efficaci, ariose, suggestive e, perché no?, anche alla lunga un po' noiose ballatone, virano in direzione di qualcosa di meno definito, meno facile da riassumere in poche righe, ma di più compiuto. "Farther Along" diviene semisobria e, forse proprio per questo, pare più lucida . In "Image Of Me", nashvilliana puro sangue, un arrangiamento spettacolare ci risparmia la solita cadenza dell'unduettrè-unduettrè, per come questa versione è  "densa" di parti musicali. "Cody Cody", poi, è da perderci il fiato, e forse è la vera, la più giusta, la migliore destinazione da dare a questo stile di comporre: da sonnacchiosa ballata epico-western si trasforma nella più raffinata bomboniera acustica californiana: le onde del Pacifico su Nashville.

Che dire di "God's Own Singer", interamente composta da Bernie Leadon? Anch'essa diviene meno melensa, meno lagnosa "di quanto sarebbe dovuta essere", trasformandosi in esemplare persino ballabile, a suo modo. Infine, "Wild Horses", il celebre brano Stonesiano destinato di lì a breve a divenir colosso di tutta una carriera partendo da "Sticky Fingers": io non perdo tempo a cercar di capire quale sia la versione migliore, se quella di questi Burritos o quella delle Pietre. Preferisco semmai rimarcare come gli Stones effettivamente siano (apparentemente) più drammatici, perché più sanguigni, più terreni, mentre Parsons e compagni si manifestano in un modo più etereo, astratto, svolazzante. E' la cosmic american music di Gram Parsons, è una questione di stretta attinenza al nome che ci si è scelto: le pietre rotolano, mentre i Burriti, per quanto strano, se li prepara l'angelo assieme all'Uccello con la ypsilon ed all'Aquila, possono perfino volare.

Rock n' fly.

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