La sincerità, in musica, è una qualità molto soggettiva e molto dibattuta che non per forza coincide con la bravura. Anzi, sono pochi gli artisti che le hanno entrambe, ed ancora di meno sono gli artisti che, avendole entrambe, raggiungono il successo.

Questi quattro musicisti del New Jersey, però, sono tra i più sinceri giovani artisti che io abbia sentito da parecchio tempo. Il loro album d’esordio, "Sink Or Swim" (versione inglese di “O la va o la spacca”), con musica punk arrabbiata e sporca e testi che omaggiano – a volte quasi plagiano – in maniera filologica la tradizione storica del cantautorato americano, da Springsteen a Petty a Dylan a Waits ai Creedence Clearwater Revival. Le immagini, in particolare, le storie di corse in macchina con vecchie Cadillac, diner aperti fino all’alba e fughe notturne sulla spiaggia ricordano la mitologia dello Springsteen dei primi tre album.

Sia chiaro, siamo ancora davanti ad un lavoro piuttosto acerbo, registrato con l’urgenza di una band che aveva trovato un sound specifico e desiderava ardentemente entrare sulla scena; alcune canzoni, come Boomboxes and dictionaries o I’da called you Woody, Joe, omaggio al fondatore dei Clash, sembrano dei riempitivi, e la canzone che chiude l’album Red at night è uno scialbo country-folk che lascia il tempo che trova.
Nella parte centrale dell’album, però, si trova una bellissima selezione di gemme. Dalla nostalgia di We came to dance, che celebra la morte del rock and roll, al dolore esplosivo di 1930, dedicata alla nonna del cantante morta di Alzheimer (You said "I love you more than the stars in the sky,/But your name just escapes me tonight."), all’oscurità dantesca di The Navesink Banks, probabilmente la più bella canzone acustica scritta dal gruppo finora, all’addio di We’re getting a divorce, you keep the diner, che meritava di essere la chiusura dell’album.

Il cantante non ha una voce intonata, ma, nonostante la giovane età, roca e vissuto al punto giusto; la band non è di virtuosisti, ma il suono è tirato e coeso.

In conclusione, ci troviamo davanti ad un album di esordio ottimo, nonostante alcuni eccessi e riempitivi, errori che poi i Gaslight Anthem sono riusciti a limare nei successivi dischi, forse perdendo un po’ della spontaneità che tuttavia continua ed essere una delle loro qualità principi.

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