E' di questi giorni la positiva notizia che la band svedese pubblicherà nel febbraio del prossimo anno un nuovo album; a quattordici anni di distanza da Head Off che aveva sancito la loro momentanea dissoluzione, fino al ritorno, almeno per quanto riguarda i concerti, nel 2016. Un rientro di certo assai gradito, tenendo soprattutto presente della ricomparsa in pianta stabile del chitarrista Dregen (al secolo Andreas Svensson) che con il suo suono anfetaminico e dinamico aveva caratterizzato i primi due epocali e selvaggi album degli Hellacopters.

Torniamo indietro nel tempo fino al 1999: è giunto il momento per il gruppo di buttar fuori il terzo disco in ordine temporale, con la novità del momentaneo allontanamento del fidato Dregen che preferisce, non senza rammarico reciproco, di suonare soltanto con i Backyard Babies (altra band con i cosidetti "controcazzi").

Grande Rock è un disco controverso, in chiaro-scuro.

Album come sempre molto diretto, dal minutaggio contenuto visto la durata media dei brani che si assesta ai tre minuti.

Ma ci sono anche delle importanti novità a livello dei suoni: scordiamoci la velocità supersonica, la grezza e rozza ferocia dei precedenti capitoli discografici. Non più Punk'n'Roll-Garage, ma un approccio musicale che vira decisamente verso l'Hard Rock ed addirittura, in certi trattenuti fraseggi strumentali, il Blues.

Ed infatti rimasi non poco spiazzato dall'inaspettata svolta voluta dal leader Nicke Andersson; mi ci volle del tempo per capire, per assimilare il tutto. Superata questo momento di incertezza, sono riuscito a "riappacificarmi" con il gruppo. Ma è indubbio e fuori discussione che siamo piuttosto lontani come votazione dall'eccellenza assoluta, dalle cinque stelle debaseriane.

Si parte con la concitata ed incisiva Action de Grace dove mettono subito in evidenza la maggiore influenza: i Kiss. Dei Kiss al vetriolo, "benzinati" a dovere, classicamente anni settanta, figli del migliore Hard Rock di quelle annate.

E per non smentire l'accostamento, anzi per dare ulteriore accredito alle somiglianze con la band "dalle facce dipinte", arriva il brano dal titolo Paul Stanley (!!!). Non possono mancare le sferzate dinamitarde ben rappresentante dalla vorace e mozzafiato The Electric Index Eel: due minuti assassini, con la voce strappatissima di Nicke a guidare i sordidi compagni

Welcome to Hell è oscura e granitica, con quel suono di tastiere e tanto di coretti che fanno il verso (udite udite!!) agli Stones di Sympathy for the Devil. E chi lo avrebbe mai pensato? Coraggio da vendere da parte dei quattro svedesi, è indubbio.

Quattro stelle, anzi un qualcosa meno ma va bene così...

Ad Maiora.

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