“Gli outsider sono come ci siamo sempre sentiti noi, come band e come persone. Non siamo mai stati davvero all'altezza. Anche quando le cose si sono rapidamente intensificate e siamo finiti in qualche cerimonia di premiazione, ci siamo sempre sentiti come bloccati. Era il momento delle band indie come The Strokes e The Libertines - e poi lì ci siamo rialzati“

Si sono sempre sentiti un po' "Outsiders" (titolo del loro nuovo, quinto album) i The Magic Numbers, anche quando sembravano destinati ad una popolarità ben più ampi rispetto a quella che poi hanno effettivamente racimolato. E' il 2005 ed il loro primo eponimo album centra la top ten britannica, vende bene, produce una hit radiofonica (anche qui in Italia) con la splendida "Love's A Game" e viene addirittura nominato al Mercury Prize.

Sembrava tutto filare liscio e invece, per quanto la qualità dei loro dischi successivi si sia alla fin fine sempre assestata tra il sufficiente e l'ottimo, il riscontro di pubblico non è stato più lo stesso, fino a che la band non ha deciso di prendersi quattro anni di pausa per poi tornare con questo nuovo album. Album che segna un cambiamento netto nel sound della band, non più dedita a delicatezze acustiche o semi-acustiche (o perlomeno non solo), ma ben decisa nell'elettrificare la propria proposta, pur non tradendo sé stessa.

Ed è proprio questa la magia: Romeo e compagni riescono nell'epica impresa di non tradire le proprie origini ed il proprio trademark sonoro, acquisendo una composta aggressività sonora finora estranea al quartetto britannico. Intenzione messa in chiaro già dal lead single "Sweet Divide", cinque minuti e mezzo scarsi di puro Neil Young periodo elettrico, e dalla rasoiata alla T-Rex "Shotgun Wedding", opener davvero strepitosa. Il secondo estratto "Ride Against The Wind" invece trova un buon equilibrio tra delicatezza ed incisività.

"Runaways" ricama un arrangiamento stratificato su di un tessuto vicino a certe cose dei Fleetwood Mac e balza elegantemente tra notte e giorno, mentre nella seconda parte del disco troviamo dei Numbers più canonici (il Roy Orbison di "Dreamer", una "Power Lines" che sembra richiamare certe fascinazioni orchestrali del primo – ed ultimo – Richard Ashcroft solista accoppiandolo ad un soprendente trombone, ed una eterea ed essenziale "Lost Children").

Un grande ritorno, questo dei Magic Numbers. Forse non è un male che rimangano uno dei segreti meglio custoditi del rock inglese, se il tempo ce li preserverà così.

Traccia migliore: "Runaways"

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