Sono arrivati i marziani.

Sì: a Torino, martedì due ottobre duemilasette, sono arrivati i marziani. E sono arrivati, come in ogni buona saga che si rispetti, da un passato che in realtà è un incredibile ed impossibile futuro. I Police sono tornati, trent'anni dopo la registrazione del primo quarantacinquegiri (animale oggi sconosciuto ai più), e ventitré dopo lo scioglimento. Sono scesi a Torino davanti a sessantacinquemila devoti preganti, urlanti, cantanti, imploranti, sognanti, commossi, stupiti, qualcuno persino spaventato. Tutti clamorosamente innamorati. Perché, è giusto che lo sappiate, marziani come questi sanno fare innamorare, perché insegnano che tutto è splendidamente relativo, a partire dal tempo. E di tempo, infatti, pare che ne sia passato molto meno. Andy Summers ha preso qualche chilo, ha qualche ruga in più, ed ha la faccia di uno che ti aspetteresti di vedere in coda in salumeria. Ma, di fondo, prima era solo più magro. Stewart Copeland ha gli occhiali ed i capelli più sul bianco che sul giallo. Il resto uguale. Sting, il più marziano di tutti, compiva cinquantasei anni (sempre ammesso che i marziani compiano gli anni) proprio quel giorno lì (secondo alcuni il giorno prima... vedete... i marziani...), ed ha solo la fronte un po' più lunga. Il resto è oltraggiosamente uguale. Io e quelli del mio gruppo, sempre ammesso che ci arriveremo, probabilmente sembreremo i Cugini di Campagna e faremo cover avvinazzate in qualche società operaia della Bassa, non orientandoci più nella nebbia senza la badante. E i Police hanno spiegato a noi (lo stanno spiegando al mondo) come si faceva musica fino ai follemente vituperati ottanta. Con un basso dalle linee mai banali, una chitarra originalissima che prende da tutti per non imitare nessuno e la batteria più anomala, riconoscibile e geniale della storia della musica cosiddetta leggera. Hanno poi spiegato che quella musica lì è ostica solo per l'ascoltatore pigro e viziato dei "dopo novanta", ma è fruibilissima da parte di chi aveva l'orecchio allenato a sentire qualcosa che non fosse la tonica zappata su un distorsore e cantata da uno scrondo teenager con vocina da eunuco. I Police, forse, sono stati la linea di demarcazione della musica cosiddetta leggera, l'ultima pagina di una storia bellissima che teneva al guinzaglio il mercato, anziché farcisi tenere. I discografici di oggi, anello di congiunzione tra la scimmia e il sasso, sono troppo presi a far ballare a tempo Britney Spears o a farci credere che l'ultimo brufolone americano che ha scoperto l'overdrive è un genio (e che siamo noi che non capiamo) per poter pensare che possa esserci qualcosa di paragonabile ai Police, oggi. E non sapremo mai se non c'è o se non c'è nessuno che si azzarda a produrla. Fatto sta che la vocina interiore mi dice che tre biondini pazzi e bravissimi che arrivassero oggi da un discografico qualunque con quella musica lì, beh, starebbero certamente fuori dalla porta. Senza neanche un caffè offerto. Ma i Police, i marziani, l'altra sera ci hanno spiegato che le cose vecchie sono belle e, soprattutto, non sono vecchie, come non lo è Mozart e come non lo è Miles. Il mito del nuovo a tutti i costi, dell'ultima uscita a tutti i costi, è una belinata ben architettata dagli architetti del mercato e dell'imbecillità, gentaglia che vive sulle spalle del senso critico morto dei giovani e del portafogli troppo pieno dei loro genitori. E, per far capire che son passati trent'anni, i marziani hanno spiattellato lì una perizia ed una professionalità incredibili. Sting usa la voce in maniera furbissima e perfetta, si spreca nella prima mezz'ora e nell'ultima, risparmiandosi con grande capacità illusionistica nell'ora intermedia, conoscendo a memoria l'arte di far godere facendo un po' meno fatica, e perdipiù a parità di risultato. Copeland ha un gusto che non ha certo bisogno delle mie povere parole per essere illustrato, e Summers il magnifico vecchietto ha "sporcato" un pochino i suoni ed ha stupito con splendidi soli. Insomma: tutti come allora ma con in tasca il tesoro di esperienze diverse e ricchissime. Fatto sta che ognuno può fare il monumento a chi vuole. Noi, insieme ai marziani e sotto la loro abilissima direzione, martedì sera l'abbiamo fatto al passato, a noi stessi, alla nostalgia, all'innamoramento, alla buona Musica. Io, personalmente, l'ho fatto a quel ragazzino di trenta chili meno che, davanti allo specchio, si chiedeva come mai non riuscisse proprio a fare quello che Stewart faceva col charleston.

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