Tempio dell'ondata dark. Nel 1988 si registra l'ultimo picco dei Sisters Of Mercy, prima di cadere nel convenzionale con "Vision Thing" del 1990.

Le chitarre squillanti, la mazzata sul rullante e il carisma di Eldritch sono ancora ben presenti. Il riff portante segna già la strada da seguire, i cori della "lady dark" (Patricia Morrison) riempiono ancora di più quel favoloso ritornello, che miracolosamente non scade nello stilema AOR da stadio. Questa è la magia. Si può parlare di amore o accennare venature pop senza guastare niente.

Il ritmo serrato scaraventa in una corsa controvento dove non si delineano nè orizzonte, nè luce. Da menzionare è assolutamente il sax, elemento fondamentale in "Floodland"; qui lo troviamo introdurre divinamente il brano, quasi con un'aria longue acculturata.

"Dominion" arriva settima nelle classifiche irlandesi e tredicesima in quelle inglesi. E' il periodo di "This Corrosion", ancora più commerciale e ammiccante nel refrain, e della seminale "Lucretia My Reflection". E' lo stile che dettavano da qualche anno i Cult, che non riuscirono volenti o nolenti ad intraprendere i Bauhaus e che digerirono perfino i Litfiba in certi frangenti.

I Sister Of Mercy sventano le critiche infuocate soltanto grazie alla classe e all'intuito. Molte band post punk e gothic, dopo i sensazionali esordi, scendono a compromessi con i famosi discorsi di soldi e moda. Eldritch e soci, sazi delle glorie con "Alice" e "Temple Of Love", rischiano di annullarsi e di proporre piatti poco intriganti per i fan.

Interessante è notare come cambiano le idee dei progetti, delle mode e dei suoni a differenza del pubblico, che vorrebbe l'artista sempre uguale. Rimanere sè stessi significa anche maturare, però. Di certo, con "Floodland", non hanno estremizzato l'aspetto del loro timbro. Bensì, hanno compreso e plasmato perfettamente il mood e l'ambiente, consengnado un album ancora tanto decantato.

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