Due album in un anno, roba molto anni ’70, roba che oggi sembra improponibile in quest’epoca di uscite spesso distanziate anche di 4 o 5 anni. Cos’abbia portato a distanziare sempre di più le uscite nel corso dei decenni e cosa cazzo avessero i complessi (come venivano chiamati ai tempi) 50 anni fa per essere così iperattivi e prolifici onestamente non saprei spiegarlo, lascio l’incombenza ai musicologi esperti. Sta di fatto che a inizio 2024, mentre ero impegnato nell’ascolto di “Wall of Eyes”, non mi sarei certo aspettato di avere a che fare, a fine anno, con un ulteriore album degli Smile.
Beh, si tratta di materiale uscito dalle stesse sessioni di “Wall of Eyes” e alcuni brani erano già pronti e presentati dal vivo fra il 2021 e il 2022. In ogni caso lasciatemi dire che “Cutouts” è un titolo quantomai sbagliato, nel senso che non rispecchia affatto quello che aspetta l’ascoltatore, un titolo che rischia di sminuirne il contenuto e far credere davvero di trovarsi di fronte a veri e propri scarti, a roba essenzialmente per collezionisti; e invece no, tutt’altro, non sono “ritagli” o “scarti” è un disco che brilla di luce propria, pieno di vita e dotato di un’identità assai forte, mi sentirei dire persino migliore, più variegato e ispirato di “Wall of Eyes”, se l’intento era di prenderci in giro ci sono riusciti benissimo (in realtà il titolo è ispirato a tutt’altro, ma questo è un altro discorso).
Disco ricco di momenti diversi e contrastanti, un rock come sempre sperimentale ma non di facile classificazione. Si passa dal math-rock veloce e frenetico di “Zero Sum” e “Eyes & Mouth” a brani che si appoggiano su una fievole elettronica per conoscere poi uno sviluppo più rock, come succede in “The Slip” e “No Words”. A volte si costruiscono soluzioni ipnotiche partendo da uno scheletro elettrico come in “Colours Fly”, a volte invece tutto si poggia su una base acustica ben galleggiante come in “Bodies Laughing”. Le chicche vere però sono altre. “Foreign Spies” fulmina con i suoi lampanti bagliori synth, “Instant Psalm” stordisce con le sue allucinate soluzioni orchestrali, così abili nel suonare classiche ma psichedeliche allo stesso tempo; “Tiptoe” invece inquieta con il suo preciso e riuscitissimo botta e risposta fra tocchi di piano jazz e archi dolcemente frastornanti. Il brano però più sorprendente è “Don’t Get Me Started”, che con le sue peculiari scale di note elettroniche dall’incedere sinistro e jazzato dà l’idea di una scala buia da salire.
Di recente, in occasione di un dibattito social, mio cugino da Copenaghen mi ha fatto luce sulle differenze fra gli Smile e i Radiohead, che inizialmente mi sfuggivano: egli ha individuato ad esempio un suono di batteria più pieno e più rock negli Smile, in contrasto con quello più ipnotico, ossessivo ed elettronico dei Radiohead, stesso discorso per i riff di basso, che qui negli Smile suonano più vintage e rock mentre nei Radiohead sono più dub e ossessivi; ora che le idee sono un po’ più chiare, dal mio canto potrei aggiungere anche altre osservazioni, ad esempio gli Smile hanno più influenze math-rock, indie e post-punk.
Ma non importa se siamo di fronte a dei Radiohead 2.0 oppure no, la cosa importante è che ci troviamo ancora di fronte ad un altro lavoro davvero ispirato e degno di nota. E comunque pare che i Radiohead stiano davvero per tornare.
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