Ecco il disco del tracollo, dove l'inizio della parabola discendente coincide con la fine del gruppo che tanto aveva dato alla Storia del Rock con i lavori precedenti. Il disco infatti, segnava il passaggio dalla piccola casa discografica alla grande Major e questa responsabilità, questo "diventare" grandi e diventare delle "vere rockstar" influì non poco sugli umori e sulla libertà compositiva del duo Morrisey/Marr.

Le canzoni qui sono ben curate a livello di suoni e fanno i loro ingressi effetti e ricercatezze mai osate prima ma, aimé, è il valore della scrittura e il mood generale che ne risente, con un album di canzoni come trattenute e "nate stanche": si sono persi quella rabbia, quella straffottenza e quell'essere fuori dagli schemi che aveva caratterizzato la band negli anni precedenti. Si parte dal mezzo ska di "A Rush And A Push And The Land Is Ours" alla classica "I Started Something I Couldn't Finish" con un suono pulito e poco incisivo. "Death Of A Disco Dancer" torna con un lento incidere che tanto ricorda altri lavori mentre carina e orecchiabile nel suo approccio teen è il singolo "Girlfriend in a Coma". Profetica è la successiva "Stop Me If You've Heard This One Before" che esortò la band stessa a mettere in pratica quanto dichiarato mentre è la successiva "Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me", ballata lenta, quasi un walzer, a tenere alta la bandiera Smiths con un brano lento e inesorabile, da quanto sia struggente e evocativo di un certo malessere che il nostro Morrisey cominciava a respirare. La successiva "Unhappy Birthday" torna a darci una canzone tipica smithsiana di buon livello mentre le successive "Paint A Vulgar Picture" e "Death At One's Elbow" si lasciano dimenticare facilmente. Con l'ultima "I Won't Share You" il gruppo si accommiata dalla carriera ufficiale (seguiranno, come al solito live, bootlegs, best of e mille cazzi...) e si renderà conto che il grosso del loro lavoro lo dettero quando erano piccoli, sconosciuti ai più e di nicchia.

Col passaggio alla Major si sfaldarono i loro esili filamenti e il progetto Smiths, già fragile di suo, cadde in mille pezzi. Peccato davvero. E peccato davvero che se ne siano usciti con questo disco "quasi pop" nei suoni e nelle intenzioni, con una strizzatina al "grande Mercato" che nulla aggiunse, ma semmai tolse, alla loro grandezza. Chissà perché, a un certo punto quasi tutti vengono presi dalla mania di "allargarsi": più concerti, più sfarzo, più promozione e tutto per avere più fans e più soldi (suppongo)... mah, certo ci vogliono spalle grosse e ben piantate per fare le "Rockstar di professione" e i nostri 4 diafani ragazzotti inglesi con quell'aria gracile e malsana non ce l'hanno proprio fatta. Una macchia nella loro discografia, talmente piccola da essere insignificante.

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