Un vivo consiglio: mandate a letto i vostri figli, se ne avete.
The Stargazer's Assistant è un progetto impensabile per un paese come il nostro. Il suo grado di dilatazione percettiva, le sue possibilità di "arrivo" alle nostre povere menti, la sua possenza d'impatto visual, hanno proporzioni decisamente incalcolabili. State a sentire: c'è un certo David J Smith, ex batterista ed ideatore di una delle band più indecifrabili della storia under-underground britannica (Guapo), il quale senza pretesti e freni alcuni, un bel giorno decide di darsi alle sculture. Fin quì, penseremmo ad un povero disgraziato intento alla contemplazione del nulla. Mai così fuori strada. Il tizio in questione prende scalpello, lima e spatola e si lavora il cervello, ci scava dentro ed effettua un così elevato numero di carotaggi, sino a cavar via tutto l'impossibile. Ed è proprio di cose impossibili che intendo parlare in questa recensione: se la cosa non vi piace, digitate un altro indirizzo internet, e risparmiatevi la litania lessicale che mi appresterò brevemente a recitare.
"The Other Side Of The Island" (2007 - Aurora Borealis), è pazzia pura. Isolamento, emarginazione umana e mentale da tutto, da tutti, e non saprei dire ancora da cos'altro, ma di sicuro mi sto dimenticando di ulteriori elementi importanti! Primariamente, il lavoro suddetto è la somma di "tre passaggi", niente storie. Un primo brano, lungo poco più di 22 minuti ed intitolato "The Other Side Of The Island Pt. I", dotato di pura funzione introduttiva: sì, avete capito bene, introduttiva!! Per due decine di minuti infatti, domina una scomposizione musicale e strumentale totale: fiati, bassi, percussioni melodiche e gelidamente metalliche, scandiscono il tempo di un supplizio sonoro che ben si confà all'idea di un sottofondo da soundtrack di altissimo livello cinematografico (e a tratti quasi morriconiano). Ma cosa ancor più sorprendente, è la spazialità, ovvero l'idea visiva di ciò che viene musicato: immaginatevi due isole sperdute tra flutti sconosciuti e collegate fra loro da un istmo. Questa lingua di terra divisionale, che separa le due isole dagli oceani prima citati, si chiama "Transition", ed è un brano liminale, il cui scopo è raccordare l'introduzione al terzo ed ultimo meraviglioso frammento di questo lavoro incomprensibilmente affascinante. L'altra parte dell'isola, parte seconda (The OtherSide Of The Island Pt. II), è il vero gioiello di questa registrazione: differentemente dalla prima traccia, questa screma l'insieme di destrutturazioni prima espresse, per sostituirle con quanto di più pagano si possa concepire: un feedback opaco e grave, lungo, straziante ed esoterico, dove il suono scombinato di una chitarra plurisatura e di un piano, si sdoppia in formato stereo per sorreggere il lontano eco di fiati enigmatici, e percussioni il cui uso fu abbandonato probabilmente dal periodo miceneico. Un'odissea infinita, uno stralcio di avanti Cristo in carne ed ossa. Una voce, unico segno di umanità dell'intero disco. Dilatazione dello spazio e della mente, ma nessuna buffonata New Age del cazzo, sia chiaro ai miscredenti.
A chi finalmente si è stancato della forma canzone, o per lo meno è allo sbando fra l'incredulo avanzare dei tempi che ci attendono, consiglio questo meraviglioso e semi-sconosciutissimo album. La stessa copertina poi, richiederebbe a mio parere un'ulteriore recensione a parte: guardatela, è impressionante! E per la cronaca, la scultura scelta come soggetto, è scolpita dallo stesso autore di questo cd.
Volete fare un viaggio per quest'estate, ma non avete soldi? Volete vedere il Mediterraneo come si prefigurava duemilaecinquecento anni or sono, nella sua brutale spontaneità animalesco-auditiva? Se vi è possibile, cercate e troverete quello di cui ho parlato fino ad ora.
Lasciate perdere le agenzie, perchè i suoni che vi invito a visitare non sono di questo pianeta. O forse, lo sono stati.
In un tempo che non tornerà mai più.
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