Gli AGlieni son tornati e pensano politically correct …
“Run, Charlie, run / Look! The niggers are coming! / The niggers are coming!”. Il “nuovo” vinile gira sul piatto (a casa mia è una novità, sebbene sia una prima stampa Italia del 1972 NM e, quindi, usata) ed io me lo sto gustando sul solito sofà, quando … SBAM! La finestra si apre violentemente e in un baleno i due noti minchioni spaziali si ripresentano in casa mia, quantunque non invitati, fluttuando nell’etere e con aria serafica e voce affettata all’unisono declamano: “il 6 aprile 2018, il legislatore penale ha introdotto la fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 604 bis c.p. che, con riferimento alla discriminazione razziale, etnica e religiosa, stabilisce che: salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Cos … ma veramente credono che nel 2025 la discriminazione razziale si combatta a forza di leggi, decreti e sentenze della Corte Costituzionale?!?! Che poi, vabbè gli spaziali, ma a noi umanoidi la Storia non ci ha insegnato nulla? O forse il passato, in questa deriva scimmiottante il futurismo che ci tocca vivere, non conta nulla?
E allora, ancora una volta, provo a cercare di spiegare ai due ET che era il 1972 quando venne pubblicato “All Directions” e, nonostante nel 1964 gli USA avessero approvato il “Civil Rights Act” le ribellioni violente causate dalle condizioni di vita nei ghetti sono sempre di più all’ordine del giorno: i neri vogliono un lavoro, case decenti e scuole migliori. In quegli stessi anni l’America si sta dirigendo sempre di più verso due società distinte, separate e diseguali: quella dei bianchi e quella dei neri. I “Black Muslims” e il “Black Power” non vogliono l’integrazione pacifica, ma la distinzione netta, i neri non hanno trovato una valida alternativa alla violenza come mezzo per raggiungere dei giusti ideali.
Buona parte della mia comprensione di quei tumultuosi anni è il risultato dell'ascolto della musica prodotta all’epoca. Certo, non si può dire che il repertorio dei Temptations fino alla metà dei '60 mi abbia insegnato molto sulle contraddizioni della società americana ma il cambiamento era già iniziato nel 1968. Fino ad allora Le Tentazioni avevano collezionato un successo dopo l'altro con le loro sensazionali ugole, performance coreografate in modo vivace e ballads partorite dalle autorevoli penne della Motown. Ma, se anche la band più conformista della scuderia di Detroit intraprese una metamorfosi, iniziata con la pubblicazione di “Cloud Nine” (1968), vuol dire che qualcosa di grande stava avvenendo. La trasformazione finale sarebbe avvenuta con i due album successivi, “Psychedelic Shack” e “All Directions”, il recensito che contiene i versi citati nell’incipit ed estrapolati dalla seconda traccia “Run Charlie Run”. E Charlie qui non è il Vietcong che si nasconde sottoterra ma il bianco che va in chiesa la domenica per, poi, dimenticare tutto quanto promesso a Dio il lunedì.
Anche la formazione non è più lo stessa: i giorni di David Ruffin, Paul Williams ed Eddie Kendricks sono finiti, devastati dal solito mix di dipendenze, problemi di salute, idee divergenti sulla direzione della band e dispute finanziarie. L’ugola di Damon Harris ha sostituito quella di Kendricks, e molti scettici sono convinti che anche la band sia finita. Invece la produzione di Whitfield li spinse verso nuove direzioni già esplorate da Marvin Gaye per le liriche e da Sly Stone per la musica, e la voce di Edwards aveva la grinta e la giusta indignazione per adattarsi al nuovo corso intrapreso dalla band. Se a ciò si aggiunge anche la presenza dei Funk Brothers, che forniscono all’opera uno sfondo funk carico di Groove, il mix esplosivo è servito!
Andando con ordine, l’album si apre con “Funky Music Sho Nuff Turns Me On” (originariamente registrato da Edwin Starr) disseminato di ammiccamenti a Sly Stone, anche se i finti rumori del pubblico rovinano, in parte, l'esperienza di ascolto. Ma, dopo “Run Charlie Run”, parte il vero capolavoro dell’intero album, un brano che meriterebbe una recensione a parte: “Papa Was A Rolling Stone” qui eseguita nella versione integrale di ben 12 minuti. I suoni della sezione ritmica, le chitarre wah-wah, le tastiere e i fiati che si muovono vorticosamente con effetto psichedelico si accumulano in una tensione sempre maggiore: più lunga è l'introduzione, più cresce l'attesa. Dopo quattro minuti e mezzo drammatici e travolgenti, in cui il basso sempre presente è il vero pilastro della traccia, inizia la parte vocale: Damon interpreta la parte della madre di un bimbo che, rispondendo a tre domande sul defunto padre, cerca di fornire un equilibrio alle voci sul vagabondaggio che circolano su di lui. Alla fine di questa epica traccia ti rendi conto che questo è uno dei momenti decisivi non solo dell’album ma dell’intera carriera dei The Temptations.
A onore del vero, solo le tre commentate e la cover di “Do Your Thing” (di Isaac Hayes) sono definibili psych-soul e quindi se vi aspettate qualcosa di simile a Sly & The Family Stone, potreste rimanere delusi. Ma se tenete a mente il titolo, potrete apprezzare tutte le direzioni del genere Soul che l’opera esplora, in particolare il “Philly sweet soul”, quel genere che ha contribuito al proliferare degli afroamericani nei ’70. Quello, per intenderci, che suona di sottofondo nella scena a metà film nella quale il comandante dei vigili del fuoco (rigorosamente di colore) torna a casa e versandosi due dita di whisky, allentando il nodo della cravatta dice alla moglie: “oggi è stata una giornata difficile”, ben sapendo come potrà renderla migliore sotto le lenzuola!
Tra queste, l’apice si coglie in “Love Woke Me Up This Morning”, una ballata che avrebbe potuto comparire in una qualsiasi precedente opera dei Temptations: scritta dai leggendari Ashford e Simpson e eseguita per la prima volta dagli inimitabili Marvin Gaye e Tammi Terrell, Harris coglie l'occasione per cantarla da solista senza minimamente sfigurare. Degna di nota anche “Mother Nature”, tra l’altro invecchiata meglio, dove Danny Edwards si prende la scena praticamente piangendo a ogni verso che pronuncia.
Con la conclusiva “Do Your Thing”, si torna a essere più Funk con Edwards che dimostra il suo talento combinando emozione, passione e dramma ed un bel pianoforte ad accompagnarlo. Completano il lotto altre due ballads in classico stile Temptations: “I Ain't Got Nothin” e “The First Time Ever (I Saw Your Face)”.
Con “All Directions”, mescolando e abbinando spunti sperimentali con attacchi di malinconia, i Temptations mettono in scena un atto di prima classe dimostrando, se ce ne era bisogno, come trasformare una melodia in una grande opera d'arte.
P.S. ma non è che gli AGlieni hanno sbattuto contro lo Starlink?!?!?
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