Accendo la mia lampada Lava Lite, attendo che si riscaldi al punto giusto... spengo completamente le altre luci della mia sala e lascio che la notte venga inghiottita dalle melliflue forme che le bolle iniziano a prendere, mano a mano che il calore verde le spinge verso il cielo... ok è il momento di spingere il tasto play.

L'introduzione di batteria sembra proprio arrivare dal nulla profondo fino a dissolversi acidamente nel nastro che si riavvolge in un risucchio... "I've Got A Zebra - She Can Fly" parte e nel breve volgere di pochi secondi sei dentro al vortice. Non esiste modo migliore al mondo per iniziare a "raccontare" come si possa far esplodere il proprio cervello e partecipare ad un parti schizzato. Un autentico gioiello di originale psichedelia del 1967, incredibilmente morbido e sensuale che ti rapisce dal tuo divano e ti trasporta dentro ad un mondo di colori e forme splendidamente indefinibili ed il solo contatto che ti lega alla realtà sembra essere la voce di Dalton che entra ed esce dalle nuvole disegnate da basso e batteria ed attraversate dai devianti e taglienti assoli della chitarra... wow più di cinque minuti sospesi in un altroquando magico e misterioso. "Play Your Game" arriva gioiosa e spensierata ad accompagnarti nel luccicante splendore della New York di quegli anni, da dove i Byrds o i Buffalo Springfield avrebbero potuto accarezzare la musica con l'ingenuo rigore di Beatles, Kinks o Hollies... prima di venire spazzati via dalle angosce eroinomani dei Velvet Underground. Ma subito il viaggio ricomincia ed in compagnia di una "Girl From Nowhere" veniamo riportati in una sospensione ora più adrenalinica nel suo incedere vagamente mediorientale e che ci conduce nel mondo schizoide delle vacanze di Flora, dove la sua lirica voce femminile è disturbata per poco meno di due minuti da cacofonici rumori di fondo, come il vento imitato con la voce, esplosioni e pesanti sospiri erotico-sessuali.

Ma come sempre accade, le vacanze terminano troppo velocemente ed il viaggio deve riprendere e siamo introdotti a "Love Supreme Deal Meditations" dove un folk distorto e miscelato ad atmosfere arababeggianti accompagna una filastrocca perfettamente equilibrata fra l'infantile ed il canto piratesco, fatto da uomini bianchi che hanno navigato in lungo ed in largo i 7 Mari ed ora sono approdati a "Prana", ed appena assaggiate le prelibatezze proibite del luogo, le loro voci rimbombano nelle loro menti, mentre gong e sitar li conducono attraverso le impervie bellezze delle vie della coscienza fino a far loro incontrare "Electric Buddah" che con voce ferma ed onnisciente rivela verità sconosciute lasciandosi trasportare dentro ad un mantra ipnotico disturbato da voci di sottofondo, tamburelli e rumori di transistors fuori frequenza, quasi a voler purificare le luride anime peccatrici, prima di un salvifico "Hare Krishna".

Ed infine ne siamo fuori, con la "Parable" che in un "dialogo" tra voce provata ma consapevole e flauto irridente ma solenne ci riporta definitivamente qui, di nuovo immerso nel divano, con le bolle sospinte dal calore verde, che sembrano non essersi minimamente curate di questo magnifico viaggio attraverso un album fantastico, anche nella sua apparente ingenuità.

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