Letters from Hell.

Dear Lou

Tu hai messo le maschere, io le ho tolte. Ma alla fine, entrambi abbiamo mostrato che dietro ogni volto c’è un abisso.

Abbiamo cosparso di luce quelle ombre nella speranza di ascoltare un disco maledetto. Vinile inciso con sangue e velluto, stanza buia con le tende tirate e un bicchiere di bourbon che trema ad ogni nota della tua partitura visiva. E ho pensato: questo è il mio mondo ma con maschere più eleganti.

Tu hai messo in scena ciò che io ho bramato di cantare per anni: il desiderio che si contorce, la carne che si vende, l’amore che si traveste da ossessione, dove il sesso è rituale e la verità è un codice da decifrare.

La differenza è questa Lou, tu hai chiuso gli occhi per vedere meglio. Io li ho tenuti aperti per non impazzire. Ma entrambi abbiamo raccontato la stessa storia: quella di chi cerca qualcosa che non può essere detto, solo vissuto.

Se mai ci fossimo incontrati, avremmo parlato poco. Forse solo uno scambio di sguardi, un cenno, e poi via. Ma sappi che ti ho capito. E che in questo album ho sentito la mia voce, anche se non ho mai cantato.

Tu hai messo le maschere, io le ho tolte. Ma alla fine, entrambi abbiamo mostrato che dietro ogni volto c’è un abisso.


Nel 1969, mentre l’America si illudeva di essere sulla soglia di una nuova era di pace e amore, i Velvet Underground stavano già scavando una fossa. Non per seppellirsi, ma per piantare semi di qualcosa di più torbido, più vero. In un’epoca di Woodstock e sorrisi psichedelici, Lou Reed e soci si aggiravano per club fumosi come predicatori di una liturgia urbana, dove l’eroina era Sacramento e l’amore una Dannazione da contrarre con cautela.

Questo doppio album live, registrato tra Dallas e San Francisco, è una confessione.

Nell'angolo muto e buio del confessionale, in ginocchio le parole si fanno lievi, mentre il peccato si svela. Un diario notturno scritto con dita sporche di nicotina e sangue, le canzoni non iniziano ma emergono, non terminano ma si dissolvono.

Il pubblico è un’ombra, la band è un miraggio.

Tutto è ovattato, come se fosse filtrato da un vetro sporco, da una lente che distorce la realtà e la trasforma in un sogno febbrile.

I'm Waiting for the Man apre il sipario come un rituale di attesa. Non c’è fretta, solo bisogno. Il ritmo è lento, quasi blues, ma sotto pulsa un’ansia che ricorda il ticchettio di un orologio in una stanza con le finestre murate.

What Goes On si dilata, si ripete, si avvolge su se stessa come un mantra meccanico. È qui che la musica comincia a mutare: diventa un corridoio bianco, illuminato da luci al neon, dove ogni nota è un passo verso qualcosa di irreversibile.

Lou Reed non canta, interroga. Le sue parole sono lame affilate, e Doug Yule le accompagna con un basso che pulsa e vibra come un battito cardiaco di una macchina.

Heroin è la spirale avvolgente e conturbante che lenta fa sprofondare in quella iniezione sonora. Il crescendo è una spirale che ti solleva e ti lascia cadere così all'improvviso, come una danza tra l’estasi e la morte.

E mentre White Light/White Heat si allunga in un delirio strumentale, il mondo si trasforma in una stanza bianca, dove il dolore è estetica e la violenza è coreografia.

Ad un certo punto, senza preavviso, la musica entra in un territorio che non è più solo decadente ma dolcemente disturbante. Le voci si sovrappongono, i testi si fanno frammentati, come pensieri di un giovane con i pensieri ed i movimenti bloccati dal bianco vestito e che sorride troppo.

Some Kinda Love diventa un dialogo interiore tra desiderio e repulsione, Femme Fatale, cantata da Lou, perde la grazia e si fa minaccia.

Non c’è più differenza tra palco e realtà. Le canzoni sono scene di un film che non è mai stato girato, ma che tutti abbiamo visto ma che spesso non vogliamo ricordare. Un film dove il latte è drogato, le risate sono isteriche, e l’amore è una parola che si pronuncia solo con la bocca cucita.

Questo live è un monumento alla fine dell’innocenza. Non c’è nostalgia, solo consapevolezza. I Velvet Underground non cercano redenzione, ma accettazione del fatto che la bellezza può essere sporca, che la musica può essere scomoda, che la verità può far male.

E in questo, sono più punk di qualsiasi urlo distorto.



Elenco e tracce

01   Waiting for My Man (07:00)

02   Lisa Says (05:46)

03   What Goes On (08:47)

04   Sweet Jane (03:58)

05   We're Gonna Have a Real Good Time Together (03:12)

06   Femme Fatale (03:01)

07   New Age (06:31)

08   Rock and Roll (06:00)

09   Beginning to See the Light (05:26)

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