Questo disco dei Wallflowers è l'ultimo in ordine cronologico, ma Jakob Dylan sta per dar vita ad un lavoro solista previsto per l'estate di quest'anno. "Rebel, Sweetheart", del 2005, è però certamente l'ultimo dal punto di vista qualitativo: non si sperimenta in alcuna direzione (ma non è che Jakob abbia dimostrato d'essere uno musicalmente impavido!), non si trovano carte vincenti né soluzioni sonore-melodiche azzeccate. Vi sono ritornelli troppo banalotti, ballatine così così, delle inutili sgroppatine ("Back To California" su tutte), brani inutili alla causa dei Wallflowers quanto alle nostre orecchie.

L'impressione è quella di trovarci ficcati dentro ad un locale in cui si stiano servendo degli aperitivi root, e quello di Dylan minore e compagni è un sottofondo, utile ad introdurci nell'atmosfera, ma che al contempo deve scorrere via veloce, e senza lasciar traccia.

Ed in effetti va via così facile che dopo la quarta canzone ti ritrovi a spolverare la cameretta, cosa che odi fare anche perché è piena zeppa delle cianfrusaglie più disparate ed improponibili. Avevi comperato anche le mascherine per convivere felicemente con la polvere, ma questo disco t'ha fatto venir voglia di pulire tutto quanto, ogni soprammobile, ogni libro, ogni penna. Ecco l'effetto di "Rebel, Sweetheart": farti venir voglia di fare qualcos'altro, qualunque cosa sia.

Tra brani sentiti un milione di volte pur non avendo mai fatto girar prima il cd dei Wallflowers, spiccano solo tre pezzi: l'iniziale "Days Of Wonder", credibile poprock, college rock, rock americano da chart, orecchiabile al punto giusto, come da copione presentata da Jakob col solito arrangiamento roottradizionale; "The Beautiful Side Of Somewhere", che ha qualcosina e forse più in comune con una celeberrima canzone di Alan Parsons, a cominciare dallo schioccare puntuale delle nacchere; la conclusiva "All Things New Again", sulla stessa falsariga delle precedenti. Ascoltandole assieme, paiono tre canzoni di Natale root, il ché denota la proverbiale predilezione di Jakob verso la supermelody, ai confini del pop ed oltre.

Il problema non sta lì, comunque: è quando Jakob rientra nel selciato del root che te lo ritrovi a steccare, annoiare, che ti fa distrarre, che ti fa venir persino voglia di spolverarti la stanza, ed è lì che deve riprendere in mano la situazione, o comunque cercare di chiedere di più a se stesso. A partire dal prossimo album.

A meno che il divenire (finalmente?) un solista non abbia aperto a Jakob nuove prospettive artistiche, non gli abbia fatto venir voglia d'osare maggiormente rispetto al solito poprockroot. Se così sarà, per la polvere in camera mia ci sarà un pericolo in meno.

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