- Se il tuo livello di scàzzo è su livelli di guardia e non hai voglia di sorbirti un mare di idiozie, sappi che il gruppo è fiko e ha fatto un gran disco. Adieu!

- Se invece il tuo livello di scazzo è sempre su livelli di guardia ma non hai proprio gnente-di-nulla di meglio da fare e ti ho sorpreso con le dita nel naso alla ricerca di nuovi anfratti inesplorati, allora beccati sto' inverecondo spataffione.

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Quando a un gruppo non si riesce a dare una collocazione precisa e si fatica a incasellarlo in un genere predefinito è già qualcosa di estremamente positivo per quel che mi riguarda.

Ora, pur non avendo mai messo il naso aldilà del recinto di filo spinato che delimita il cimitero di auto accartocciate grazie al quale sopravvivo, nel tanto (troppo) tempo a disposizione
solo con me stesso ho elaborato una personale classifica di gradimento dei posti più attraenti, per non dire voluttuosi, del globo acquaterreo.

In vetta si staglia l'Azerbaidjan: con quel nome lì non potrebbe essere altrimenti.
Segue a ruota la rigogliosa Nuovazelanda: terramadre dei Kiwi, tanto ricchi di vitamina C e portatori sani di tanta sana pupù.

Sul terzo gradino, per tutta una serie di motivi neanche troppo chiari neppure a mè, c'è la neutralissima Sfizzera: patria (tra le tante e belle cose) delle Giovani Divinità in oggetto.

Nel merito del nuovo monolite forgiato dal Trio mittleeuropeo non saprei dire con esattezza quale sia la causa scatenante di cotanta attratività sonora: forse la presenza d'elevati tassi d'aria salubre o la singolare assenza di approdi marittimi o magari solamente il rigido rigore intellettuale para-teutoniko che ne determina il disordine operativo in modo meticoloso e sistematico, ma le loro stratificate architetture soniche hanno sempre avuto quel quid in più rispetto a tantissimi loro coevi sia europofili che non.

Per alcuni con l'andare del tempo si sono progressivamente imborghesiti, per altri sono sistematicamente progrediti mutando continuamente forma.

Chiaramente la verità assoluta, perlomeno all'interno della mia DeRecensione, la stabilisco io: per cui propenderei nettamente per la seconda tesi.
I contrari verranno DeBannati entro fine lettura.

Più si va a fondo con l'ecoscandaglio in qvesto nuovo moloch discografico, più si consolida (in mé) la convinzione che dagli esordi a oggi abbiamo (sempre) avuto a che fare con un ensemble dotato di riconoscibilissime peculiarità espressive.

Intendiamoci: non tutti i dischi propugnati all'interno della loro lunga carriera possono dirsi totalmente centrati e vincenti, ciò nonostante l'elevata personalità che li ha tratteggiati è sempre stato elemento insindacabile.

Agli albori dell'anno in corso dopo svariati anni di silenzio, perlomeno discografico, i tré si ripresentano con la abituale dose di idee & suoni estremamente chiare: mutare per l'ennesima volta pelle restando se stessi.

Qua si tende a lavorare la bruta materia più di sbalzo e cesello: si agisce in maniera più minuziosa, giudiziosa e sotterranea, se capite ciò che intendo.
Ma la sostanza primigenia resta quella.
La brumosa traccia di apetura "Entre en matière" e la chiusura "Everythem" sono ben più che esplicative a riguardo.

Alcuni echi dai semi-sepolti, clangorici e massimalisti esordi continuano a percepirsi sottotraccia: oggi risultano innestati in un arredo e corredo sonoro sostanzialmente inedito.
Sembra di capire che la loro attuale necessità non sia più quella di scagliarci addosso un pentolone ribollente di magma proto-industriale come è gioiosamente avvenuto nel millennio scorso.
D'altronde quando hai vent'anni o poco più può avere un senso ed è giusto che sia così: continuare all'infinito a rimestare i soliti lapilli e forgiare le medesime saette può diventare molto meno divertente.
Soprattutto per chi a i mezzi per evitarlo.

Ci troviamo al cospetto di un disco moderno (non modernista) per concezione, suoni e struttura intrinseca.
Eppure potrebbe apparire un disco vecchio in virtute del fatto che è l'ennesimo tassello evolutivo di un suono netto e riconoscibile.

Un'elettronica organica, viva, pulsante e mutaforma caratterizzata dalla commistione con strumentazione più convenzionale: il tutto suonato in modo non esattamente convenzionale.
I brani si sviluppano come pervicaci mantra concentrici che tendono progressivamente ad inspessirsi elevandoci oltre la cronosfera:
in questo senso mi garba sottolineare le bordate esplosive all'interno del totem tribaloide "All My Skin Standing" che riporta alla mente i loro episodi più urticanti e lontani nel tempo.
Ma non si tratta di mero auto-citazionismo o sterile riciclo di atmosfere già utilizzate: semplicemente un affermare per l'ennesima volta "siamo sempre noi, e (lo siamo) come ci pare noi".

Come sempre è stato e sempre sarà.
Nei secoli dei secoli, amen.

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