Guidati dal carismatico Phil Lynott, gli irlandesi Thin Lizzy hanno incarnato una “terza via” all’hard rock, che andasse oltre lo strapotere dei colossi britannici e di quelli a stelle e strisce. Grazie ad un approccio molto personale, che faceva convivere chitarre elettriche e ritmi celtici con liriche di spessore, distanti da tante banalità che spesso affliggono il genere, riuscirono a costruirsi, per un breve periodo, un gran seguito, cementificato da concerti incendiari e un repertorio senza punti deboli.

Questo Black Rose: A Rock Legend, del ’79, è da molti visto come il canto del cigno, l’ultimo degno di nota prima che i problemi personali dei singoli musicisti fagocitassero tutto. Il buon successo di Live and Dangerous, pubblicato l’anno prima e oggi considerato uno dei migliori dischi rock dal vivo di sempre, non sembra contribuire a portare armonia all’interno del gruppo, ormai sempre più lacerato e difficile da gestire. Dopo vari dentro-fuori, infatti, il chitarrista storico Brian Robertson saluta senza troppe cerimonie gli ex compagni, di fatto spalancando le porte al rientrante Gary Moore, già con Lynott in passato per brevi parentesi.

Nonostante i pessimi auspici, il LP risulta fresco e piacevole, ben scritto e suonato da musicisti ispirati. Do Anything You Want To, con il suo andamento ritmato, apre le danze, mentre Toughest Street in Town è la colonna sonora serrata di storiacce di periferia. Si prosegue con le atmosfere da motel sudicio di S&M, che lasciano poi spazio a Waiting for an Alibi e al suo ritornello, che sembra scritto apposta per essere cantato a squarciagola in concerto. Si cambia decisamente registro, invece, con la delicata Sarah, dedicata da Lynott alla figlioletta, intrisa di affetto e amore. A leggere le liriche di tante canzoni dei Lizzy, non può non saltare all’occhio come la poetica di Lynott sia sempre stata popolata di personaggi marginali: balordi, diseredati, alcolizzati, gente travolta da amori finiti male, tutte persone le cui vicende vengono sempre però narrate con uno sguardo quasi pietistico, quasi come se lo stesso rocker non si sentisse poi così lontano da quella condizione e, raccontando di quei personaggi, più o meno di fantasia, stesse parlando anche di sé. E Got to Give It Up, infatti, sembra quasi un’esortazione dell’autore, rivolta a sé stesso, a combattere i propri demoni, demoni che alla fine avrebbero comunque avuto la meglio, travolgendo sia lui che il resto del gruppo. I used to be a dreamer / But I realize that it's not my style at all / In fact it becomes clearer that a dreamer / Doesn't stand a chance at all. I versi di Get out of here ribadiscono il concetto: quello dei Thin Lizzy non è un mondo per sognatori, ma non significa che non ci sia spazio i sentimenti. With Love, infatti, è la dimostrazione di come per fare hard rock non si debba picchiare a tutti i costi, oltre ad essere un’ottima “scusa” per mettere in risalto le radici blues di Moore e soci. Phil non abbandona per un attimo il suo ruolo di cantastorie e Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend è il modo migliore per concludere il secondo lato del LP, con un brano che riprende un tradizionale irlandese, infarcendolo di leggende di re e regine, andando ad evocare un’Irlanda forse più fiabesca che reale, con tanto di atmosfere da festa danzante celtica: un sentito tributo alla propria terra.

In conclusione, Black Rose è uno dei più riusciti album dei Thin Lizzy, realizzato subito prima che il quartetto venisse travolto. Gary Moore se andrà sbattendo la porta nel bel mezzo del tour, schifato da tutta la droga che vedeva intorno a sé, innescando una girandola di musicisti che sarebbe andata avanti fino allo scioglimento del gruppo anni dopo. Lynott affiancherà alla carriera con i Lizzy quella solista, ma la sensazione è che da qui in avanti si perderà la bussola, fino al tragico epilogo nel 1986, con Phil che ci lascia dopo un’overdose. Se la sua Dublino gli ha dedicato una statua, a sottolineare un lascito artistico enorme, è comunque evidente che i Thin Lizzy non sono mai rientrati, in termini di popolarità, tra i “grandi” del genere, nonostante lo spessore della proposta. E col senno di poi non devono essere stati pochi quelli che, adolescenti a fine anni Novanta, vennero a sapere delle avventure di questi “vagabondi d’Occidente” grazie all’omaggio dei Metallica di Garage Inc., senza contare i vari tour-tributo voluti negli anni Duemila da Scott Gorham e John Sykes, che hanno fatto sì che l’opera di Phil Lynott non venisse dimenticata con la sua scomparsa. Un bel disco da recuperare, per andare poi a ritroso nella discografia.

Thin Lizzy:

  • Phil Lynott, voce e basso
  • Scott Gorham, chitarra
  • Gary Moore, chitarra
  • Brian Downey, batteria

“Black Rose: A Rock Legend”:

  1. Do Anything You Want To
  2. Toughest Street in Town
  3. S&M
  4. Waiting for an Alibi
  5. Sarah
  6. Got to Give It Up
  7. Get Out of Here
  8. With Love
  9. Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend
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