L'operazione This Immortal Coil nasce da un'idea del produttore francese Stéphane Grégoire, fondatore dell'etichetta Ici D'Ailleurs, e s'ispira dichiaratamente al progetto This Mortal Coil (vi ricordate?, la serie di album, usciti nel corso degli anni ottanta, scaturiti dalla collaborazione degli artisti della storica etichetta 4AD sotto la guida del boss Ivo Watts-Russel).
Grégoire fa tuttavia qualcosa di diverso e di maggiormente complesso: edifica un formidabile tributo ai fenomenali Coil, raccogliendo i contributi di artisti lontanissimi fra loro e soprattutto distanti, per stile e retroterra culturale, dalla band che s'intende celebrare: nomi come Will Oldham, Thomas Elliott e Yann Tiersen, giusto per citare i più noti, fanno del resto saltar dalla sedia ogni amante della buona musica.
A rendere speciale l'impresa di Grégoire è tuttavia il fatto di saper cogliere l'universalità intrinseca, e non sempre evidente, delle composizioni del duo britannico: un tributo, in verità, volto a valorizzare la struggente vena cantautoriale del compianto John Balance, piuttosto che il genio creativo di Peter Christopherson (le composizioni, di fatto, verranno spogliate della loro veste industriale, tagliata e cucita con estro e perizia dall'ex Throbbing Gristle, per addentrarsi in una dimensione più squisitamente acustica).
Dalla fondazione nel 1982 alla prematura scomparsa di Balance nel 2004, i Coil hanno mutato pelle continuamente, riuscendo nell'intento di rivitalizzare il concetto di musica industriale e di gettare le premesse per un “post” al movimento (in origine capitanato, è sempre bene ricordarlo, dai seminali Throbbing Gristle dello stesso Christopherson), spianando così la via per ulteriori sviluppi. Dall'industrial esoterico degli esordi, il cammino dei Nostri si è così andato a macchiare di avanguardia e umori dark-wave, passando dall'elettronica più sofisticata all'ambient più funereo, fino a spingersi oltre la disco più danzereccia ed il cantautorato intimistico che ha caratterizzato gli ultimi lavori. L'opera dei Coil ha saputo innovare ed infertilire il terreno che ha calpestato; nella peggiore delle ipotesi è stata in grado di cogliere i timidi segnali di nuove tendenze un attimo prima che esplodessero. Ebbene, Grégoire, scevro da ogni sterile ed inutile tentazione emulativa, riesce nell'impresa di far germogliare nuovamente l'anima dei Coil e rivestirla di una forma totalmente nuova, altamente poetica, colta, raffinata: un percorso che si snoda per i meandri di un malinconico jazz e lungo i sentieri polverosi di un epico cantautorato, attraverso gli stridori e le offuscate visioni di una estraniante musica da camera.
Altro miracolo: l'opera riluce di una omogeneità stilistica insolita per un tribute-album: una compattezza probabilmente dovuta alla pazienza e alla devozione al progetto di Grégoire, il quale ha saputo aspettare 4/5 anni per dare alla luce un prodotto di elevata qualità e di alta significanza meta-musicale. Per questo l'ascolto è altamente consigliato anche ai profani della musica industriale, senza comunque escludere il fatto che l'album in questione rimane un qualcosa di davvero importante per i fan dei Coil, orfani di un Balance che li ha lasciati troppo presto. Vere lacrime, amici miei, verranno versate da chi ancora porta in sé il vuoto di quella tragica scomparsa, perché da lacrime sono queste undici commoventi composizioni, costruite con intelligenza e passione, nelle interazioni di un collettivo di musicisti perfettamente orchestrati: una goccia di luce in un abisso di Niente, come il rinvenimento di album di fotografie ritraenti il caro estinto.
Da lacrime è l'attacco della title-track, ravvivata dalla splendida, avvolgente, aggraziata voce della cantante israeliana Yael Naim, una delle più belle voci mai udite da queste orecchie: i toni soffusi di un elegante e struggente e sofferto jazz-noir, vagamente insaporito dai toni tipici della bossa nova, aprono le danze, ma è solo l'inizio: Matt Elliott e Yann Tiersen edificano una mesta rivisitazione a quattro mani di “Red Queen”. Il cavernoso recitato di Elliott richiama il Balance di “Musick to Play in the Dark”, mentre le note di pianoforte si perdono cristalline nel vuoto di vasti cieli notturni, una dolce ninna-nanna non scevra delle inquietudini che pervadono il brano originario.
Tocca a William Oldham l'onore e l'onere di resuscitare uno dei pezzi più intensi dell'intera produzione coiliana: “Ostia” conserva le ambientazioni mediterranee, grazie anche al fondamentale contributo del quartetto d'archi belga DAAU, che fra l'altro marchierà molti dei brani qui riproposti; la voce roca del giovane cantautore americano, dal canto suo, fa i salti mortali, regge il colpo, seppur non riuscendo a rendere in tutta la loro complessità le sfumature della impareggiabile prova di Balance. Ma attenzione: guai a fare i paragoni con i brani originali, poiché le rivisitazioni sono spesso distanti dal repertorio che fu, acquisiscono bensì vita propria, vivono in una dimensione estranea a quella in cui quelli furono concepiti poiché riletti ed interpretati da sensibilità estremamente diverse.
Inutile dilungarsi nei dettagli di uno sterile track by track, dato che ogni singolo episodio brilla di luce propria e suona come qualcosa di sublime per le nostre orecchie. Lasciatemi però citare l'estasi strumentale di “Chaostrophy”, dall'intensità morriconiana; l'immensità del cantautorato apocalittico, obliquo, desolante di Elliott nelle due versioni di “Love Secret Domain” e nell'ennesima rivisitazione del classico “Teenage Lightning”; la splendida “Tatooed Man”, che vede nuovamente la presenza della divina Yael Naim dietro al microfono ed al piano. Il compositore francese Sylvain Chauveau presterà invece la voce in “Amber Rain”, altro pregevole gioiellino di cantautorato apocalittico. Importante sottolineare il fatto che, pur perdendo la spigolosità della perversione che anima la poetica di Balance, i brani conservano un fascino onirico e lunare (e perché no?, apocalittico!) che è indubbiamente riconducibile alla visione artistica della band tributata.
La selezione dei brani, infine, non ha pretese di esaustività: molti brani fondamentali vengono tralasciati per lasciare spazio ad episodi indubbiamente trascurabili, con un occhio di riguardo ai momenti più orecchiabili del repertorio della band ed alla produzione recente, in effetti più distante dall'aspro industrial degli esordi e quindi più facilmente mutuabile in un contesto dai sapori soft-cantautoriali quale è quello in cui si è scelto di muoversi. Ma è il senso di unità dell'insieme, infine, a giustificare delle scelte solo apparentemente opinabili, mosse bensì dal gusto del fan appassionato.
E da fan appassionato non posso che consigliare calorosamente l'acquisto di un'opera che non è un semplice tribute-album, né tanto meno un'operazione squallidamente nostalgica, bensì un autentico capolavoro indirizzato alle orecchie di chiunque sia in possesso di gusto e passione per la buona musica.
Come scritto nelle note interne: “To all the dreamers still asleep”.
Track-list:
. The Dark Age of Love
. Red Queen
. Ostia
. Chaostrophy
. Love Secret Domain
. Tatooed Man
. Teenage Lightning
. Amber Rain
. Cardinal Points
. Blood from the Air
. Outro LSD
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