Questo è un valzer che pensa ai nostri corpi/ Quello che significano per la nostra salvezza/ Con solo i vestiti con i quali ci alziamo/ Solo il terreno su cui stiamo/ L'oscurità è nostra, lì da prendere?/ Bagnato nella leggerezza, immerso nel calore/ Tutto va bene, finché continuiamo a girare/ Qui e ora, ballando dietro un muro” canta Thom Yorke in “Suspirium”, e le sue parole (poche) risuonano limpide, dolci, allarmate e consolanti dentro la moderna scatola di “Music from Suspiria”, uscito a fine 2018.

Un requiem cupo, scheletrico, alieno, notturno, forse ispirato, oltre che dal film di Luca Guadagnino di cui è la colonna sonora, anche dalla morte nel dicembre 2016 della moglie di Yorke, Rachel Owen, madre dei suoi due figli. “Sabbath Incantation” è un coro per chiese sconsacrate, trasportate dalla marea (spirito affine, più maturo e desolato, agli Alt-J di “Pleader”). “Suspirium” una danza, come “Unmade” e “Open Again”, da ballare in un’ipotetica Arca ai confini della realtà, dove salvare ciò che è reale, separarlo dal mare di relitti incantatori (già illustrato da Stanley Donwood nell’art-work di Amok). "La gente ha cambiato modo di pensare” ha affermato Thom Yorke “anche per colpa di Internet e dei social network. È fascismo, ma non nel vecchio senso. Non è nemmeno reale ma non per questo è meno pericoloso: è il nuovo fascismo, e la gente non si sente più responsabile per il proprio comportamento". “The Conjuring of Anke”, piano e coro di voci femminili, attraversa territori neo-classici prosciugati, abbandonati, muovendosi lentamente e con semplicità, mentre brani come “The Hooks”, “The Inevitable Pull” e “The Jumps” sono sottofondi elettronici, taglienti, brillanti sul fondo scuro delle cose. Anche qui non siamo troppo distanti dall’esordio del batterista degli Alt-J, Thom Sonny Green (High Anxiety, 2016), come se solo all’arte e alla musica fosse affidato il potere di decidere chi è fratello di chi, dov’è casa. “The Universe Is Indifferent” è blues minimo, sporco, elettrico, spirituale, angelicato dalla voce di Yorke, alla ricerca di nuove forme di salvezza e purezza.

Jaron Lanier (uno dei pionieri della realtà virtuale, oggi molto critico) dice che la rabbia della gente cresce perché attraverso un algoritmo finisce in un gioco di specchi dove le opinioni diventano sempre più estreme.

"Il pericolo non è uno stupido governo conservatore che finirà per divorare sé stesso. Per ritornare a Suspiria e alla metafora della danza: noi siamo come la danzatrice che sotto un incantesimo che non capisce si butta di qua e di là - fino a uccidere sé stessa. Quella danzatrice siamo noi che non abbiamo più fede nella nostra capacità di cambiare le cose, perché stiamo vivendo in una specie di deserto" ha spiegato il leader dei Radiohead, sempre più nel ruolo di profeta di un “nuovo umanesimo”. Stay Human, resta umano, ci suggerisce lui da Ok Computer, passando per KidA fino agli ultimi lavori. Ed è diventata una voce che si rincorre, in molti raduni di piazza in Italia, in Europa, credo anche in America. Nei salotti di molte famiglie, e nei dialoghi che facciamo o non facciamo con noi stessi.

Ross Goodwin, “scrittore di scrittori” e creatore di intelligenze artificiali (ultima, una Cadillac impostata immagazzinando poesia, fantascienza e narrativa pulp, sensori e navigatore Gps, capace di ripercorrere il viaggio di Kerouac in “On The Road” e di farne un resoconto) ha spiegato che allucinazione è anche il termine per indicare l’attività compiuta da un computer quando genera contenuti. In quel momento ci mostra una realtà non prodotta naturalmente dai nostri neuroni ma un mondo alterato, stupefacente.

Che abbiamo creato per isolarci, dopo due guerre mondiali. Per poter vivere in un sogno (il primo è stato Alan Touring). Baricco, nel suo ultimo “The Game”, ricorda che era, appunto, un sogno e non un incubo. Ma dentro questo sogno abbiamo smesso di ricordare. Alice, persa dentro paesi sempre meno meravigliosi, non riesce più a svegliarsi. Le destre estreme ritornano. Virtualmente tutto è possibile. La realtà è già stata smembrata, spartita. Le guerre sono già state combattute. Ci sono stati vincitori e vinti. Gabbie, cortili, palazzi, fake plastic trees e imperi di cristallo sono stati costruiti.

Torneremo a esistere e a respirare, sembrano suggerire i testi, aperti di nuovo/ Su un'altra costa/ Bagnati dalle onde (“Open Again”). A sentirci sicuri di qualcosa e al sicuro da qualcos’altro, ma davvero, non perché ce l’hanno promesso. Arriverà una tempesta umanamente e sentimentalmente lucida, precisa, che abbatterà quello che deve essere abbattuto. (Gli specchi e i telefoni/ Avevano preso fuoco, preso fuoco […]E l'acqua, ci ha perdonati/ E/ i fascisti provavano vergogna/ Verso il loro re delle marionette/ Dicendo non faremo più questo errore, “Has Ended”). Premierà chi si è battuto. Chi non si è arreso. Chi ha salvato qualcosa. Chi ha cercato nuove preghiere per cacciare vecchi idoli. Chi ha creduto nella possibilità di un regno ristretto. Ristabilirà un’origine e un nuovo spirito. E darà finalmente un porto alle nostre arche, ormeggiate ai confini della realtà come lanterne, come tanti piccoli occhi aperti sul pianeta, testimoni del dialogo tra la terra e il cielo. Costellazioni aperte a est per orientare il sole verso le montagne, e che le montagne restituiranno al tramonto.

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