Rosico. Rosico sovente.
Una volta si sarebbe detto: mi indigno. Indignarsi è fuori moda: politica televisione multe lavoro social banche santanchè non indignano nessuno, o quasi. Verso le nove di sera di ogni giorno, su Rai1 (che pago, paghiamo), mi capita di osservare per qualche minuto le milf in studio urlare eccitate perché nella scatola appena aperta ci stanno 10 euro e non le centinaia di migliaia che così rimangono in gioco, intanto che parte a palla la Cavalcata delle Valchirie, tutti i presenti applaudono stocazzo ed io rosico. In questo caso anche per Wagner, che non può ma di sicuro lo farebbe.
Ed qui rosico per questi londinesi Thunder: una formazione rock blues della madonna, non ce n’è di migliori. Avevano gettato la spugna a fine secolo scorso, abbandonati dall’ultima casa discografica: non c’è stato verso, hanno ricominciato, si son fatti la loro etichetta, hanno archiviato i residui sogni di gloria e procedono (procedevano?… dico dopo) a basso profilo, sparando fuori un disco ogni due anni. Tutti ottimi. Questo poi, del 2022 ed ultimo della serie, forse è il loro migliore, ed è il quattordicesimo!
Il leader della band Luke Morley è un musicista “costruito”, non naturale. Privo di talento innato, tantomeno di genio, si è mirabilmente congegnato ad imparare a suonare bene, comporre meglio, scrivere testi significativi, arrangiare efficacemente, produrre con nerbo ispirandosi a tutto quanto ha formato il suo gusto e il suo senso del “giusto” in musica, cercando non l’originalità bensì la qualità, la spinta e la passione. Fa quasi tutto lui, compone e detta la linea; gli altri quattro lo seguono, collaborano, lo aiutano, lo completano con i loro propri talenti (in particolare il batterista, il miglior surrogato di John Bonham che conosca).
Morley è uno dei tanti che negli anni settanta, da ragazzino, assorbiva rock come una spugna dalla radio, dallo stereo, dagli amici, e che ad ogni ascolto sognava ad occhi aperti quel mondo, quel mestiere, quella perizia, quel successo che è poi effettivamente riuscito a raggiungere. A buon livello anche se non altissimo, ma questo è carenza altrui, non certo mia. Me lo vivo come un fratello… testa bassa e pedalare, con passione e coerenza, scrivendo e suonando solo quel che gli piace, mentre che le “mode” e le “tendenze” più cool sfrecciano intorno a lui, lo sorpassano, svaniscono (augurabilmente). Cose che ti fanno rosicare, perché non siamo così buddisti e la meritocrazia che latita dispiace.
E quindi rosica, come me, anche questo Luke Morley leader dei Thunder, sugli ultimi album ma su questo in particolare. A cominciare dalla copertina: due disperate a farsi i selfie. Non li sopporto pur’io, sono orgogliosamente ancor vergine in proposito e di sicuro lo resterò. I testi di diverse canzoni dell'album, semplici e ficcanti, si scagliano contro i social, gli influencer (che vadano affanculo), gli autotune, la musica di merda e senz’anima che c’è sempre stata, ma ora è salita ad una percentuale insostenibile.
Il titolo, Dopamina, allegorizza proprio la droga mediatica che pervade il nostro quotidiano, che a me che sono anzianotto fa solo rosicare ma che ai giovani di oggi compromette la crescita intellettuale e del carattere. Questo lo cantano, i Thunder, mentre che roccheggiano e rolleggiano alla grande e con buona varietà di stili ed ispirazione.
Un esempio fra tutti la dolce, rilassata ed amara “Is Anybody Out There?”, solo voce e pianoforte, a far specie poiché proveniente da un gruppo hard rock blues duro e puro che dimostra di averne ancora molto da dire, pensare, riflettere ed agire per restare vivo.
Speriamo! Ma siamo messi male… il cantante Danny Bowes si è ferito accidentalmente e seriamente alla testa, poco dopo l’uscita di quest’album. I colleghi stanno aspettando che si riprenda del tutto ed intanto si sono sparsi in altri gruppi (Tyketto, Quireboys). Butta male! Questo doppio LP/singolo CD potrebbe essere anche l’ultimo dei Thunder. Mai una gioia.
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