Una scintilla, l'ennesima, un bagliore nel buio, un puntino incandescente, una sottile scia grigio-biancastra si leva piano, dovrei smettere..

Le note che fuoriescono sottili si legano all'esile coltre fumosa che dal basso sale verso il soffitto, si allarga, colma lo spazio intorno, riempie tutto, lentamente, senza fretta. Sono sdraiato su di un morbido tappeto, occhi socchiusi, mente sgombra, la sua musica mi porta lontano, anche stando immobile. La sua musica "é" quel morbido tappeto, che mi avvolge, mi culla, mi desta dal torpore proprio quando sto per sprofondare nell'oblio, con i soui scatti improvvisi, i suoi acuti, le grida..

Un tappeto dal quale non vorresti mai più alzarti, "Strange Feelin'", applausi, pochi.. Poca gente, intimità al Troubadour quel 3 e 4 settembre del lontano 1969, le chitarre di Buckley e Underwood disegnano voli aggraziati, scie soavi e leggere come il rivolo di fumo che sale dalla mia sigaretta. Collins e le sue congas si arrotolano sulle corde, sostenute dalle pelli "accarezzate" da tocchi squisitamente jazz di Art Tripp, ma chiamatelo pure Ed Marimba se volete, seguito come un'ombra dal basso delicato di John Balkin.

E quella voce, dono divino, capace di emozionare a tal punto da farti rimanerre sospeso, farti vibrare con Lei, in bilico tra un precipizio senza fine e le galassie più lontane..

"Quella Voce"..

Ed è subito magia, vorrei che il mio volo durasse per sempre, ma tutto, bene o male, ha una fine e una canzone si deve chiudere, prima o poi.

Disco importante questo "Live at the Troubadour", anello di congiunzione, in testimonianza live, tra il "vecchio" Buckley e quello che sarà di lì a poco, il "Navigatore tra le Stelle", solo, incompreso, immenso..

"Venice Mating Call", punto di rottura, di non ritorno, sconfinamento strumentale contorto in nuovi territori da esplorare, toccando corde inattese, lambendo per un attimo il pericoloso lato oscuro del jazz, dove si è liberi di osare, sperimentare, senza schemi prefissati, senza regole.

Ormai sono fuso con il tappeto, fatto di note, tastiere ipnotiche, arpeggi, fatto dalle dita di Carter Collins, dalle spazzole che mi accarezzano e dal basso che mi dondola, resto a galla per quei tredici minuti, "I Don't Need It To Rain", lisergica ballata che esula e si beffa del tempo, ma che piova o meno non fa differenza, non me ne accorgerei di certo.

Quest'uomo è capace di lasciarmi in trance, di ipnotizzarmi completamente e schiaffeggiarmi violentemente quando, con una facilità disarmante, gioca con le ottave, sale su tonalità impensabili, fraseggia, vibra, scende all'inferno, urla, è libero strumento.. Poi ti guarda, ti fa una smorfia, gira le spalle e se ne va fischiettando. Impressionante.

C'è spazio per presentarli questi compagni di viaggio, un attimo di respiro, riesco a riemergere per riempirmi i polmoni, prima di sprofondare nel più dolce dei sogni, "I Had A Talk With My Woman", senza tempo, nè spazio, tutto scompare, non ci sono più pareti, soffitto, non c'é più nulla, solo un tappeto fatto da cinque fili sottili, con migliaia di puntini strani in mezzo, che descrivono un capolavoro, mai sentita un'atmosfera tanto avvolgente messa in musica.

Un bagliore, un fulmine che squarcia il sereno, "Gipsy Woman" arriva irriverente, le chitarre accelerano il tempo, si inerpicano in luoghi impervi e Carter non resta a guardare, le sue mani si muovono agili, sicure, unite a quelle di Art, ti percuotono senza pietà.

Tutto è lì per Lui, per la sua voce, che osa, qui più che mai si intravedono le acrobazie che caratterizzeranno "Lorca" e il monumentale "Starsailor", la primordialità dell'uso delle corde vocali inizia a farsi largo prepotentemente: riesce ad accarezzarti, sopirti, per poi stupirti con sprazzi di follia ragionata e tornare a pacarsi in una serenità disarmante, modulare tutto con una padronanza quasi inaccettabile da mente razionale, "Blue Melody", melodia.. Intrecciarsi di corde, che lo seguono ad ogni passo, con quel tappeto di percussioni e lievi spolverate di basso, l'aria che esce prende consapevole forma, si distacca e vibra di vita propria.

Quanta grandezza può racchiudersi in un corpo umano..

Quanta grandezza a soli 22 anni..

Sembravi già aver visto tutto, così giovane, eppure avevi già visitato luoghi a cui nessuno aveva mai avuto accesso e dove nessuno, forse, arriverà mai.

"Chase The Blues Away", un brivido mi percorre la schiena:

"Well come along walk with me, and learn the songs that lovers sing, when they believe..".

Solo tu sei riuscito a toccarmi nel profondo, a sconvolgere la mia anima, i sensi e quant'altro, tu e la tua "banda di magici menestrelli", venuti da chissà dove, tu e la tua voce..

"Quella Voce", "La Voce di Dio"..

Il tappeto si è dissolto, vago ormai galleggiando nel nulla, da lontano odo lievi percussioni, le trame di chitarra mi sfiorano e mi solleticano piano, mentre il vuoto sotto di me stranamente si riempie con qualcosa che esce dal buio, riesco proprio a sentire distintamente la sua presenza, quello scaturire dal niente e colmare tutto, "nessuno è riuscito a creare il vuoto intorno alla voce come Tim Buckley" e io non capivo, "Driftin'", ora lo so.. Ora comprendo..

Stai per partire per un'avventura che nessuno, neanche tra i più coraggiosi, avrebbe mai pensato di intraprendere, "Nobody Walkin'", nessun mortale ci arriverà mai Tim, stai tranquillo, soprattutto a soli vent'anni camminerà su quelle strade dove tu sei passato.

E io rimango sempre lì sospeso, in attesa della fermata, anche se vorrei rimanere a mezz'aria per sempre, cullato da voi cinque, scosso da "quella voce" ancora e ancora, perso tra le stelle e l'infinito.

Un bagliore nel buio, la fiamma danza leggiadra per un attimo, la punta si incendia, una scia sottile piano invade la stanza, ancora, senza fretta..

Dovrei smettere..

Forse domani.

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