Un diciannovenne Tim Buckley fa il suo esordio solista nel lontano 1966, dopo una esperianza passata nei Bohemians in compagnia del futuro poeta Larry Beckett alla batteria, che qui lo accompagna nella stesura dei testi. La sua voce netta, capace di multi ottave, ma anche tenera ed eterea è l'elemento stupefacente di queste dodici tracce in bilico tra folk tipico di quegli anni (dalla copertina al Tim stesso che non nascose mai l'influenza di Bob Dylan), psichedelia (su tutte la straziante armonia interrotta di "Song Slowly Song") e influenze jazz, qui accennate (vedi "Valentine Melody"), che verranno poi sviluppate nei dischi futuri. Il quadro è ancora più stupefacente se si pensa che una tale maturità e complessità emotiva e musicale appartengono ad un ragazzo appena maggiorenne, autore di tutti i brani. Alcuni testi sono ulteriormente enfatizzati dalla vena poetica dell'amico Beckett, le parole escono dalle casse ed il mago Tim attira la tua attenzione modulandole mentre i brani si alternano in momenti elettrici, quieti e controllati e a volte a formare mosaici complessi di magica psichedelia, grazie anche al contributo di musicisti particolarmente dotati come Lee Underwood alle chitarre, che accompagnerà Tim Buckley nei futuri album e concerti. Al tempo bastò tale esordio per far capire a tutti che una quintessenza di cantautore si celava in questo ragazzo di Washington trapiantato nella California in fermento dell'epoca. Una voce fuori dal coro sempre in bilico tra fragilità, delicatezza eppure forza controllata, capace di aprirti abissi dinanzi e di farti prendere il volo un attimo dopo. Capace di ammaliarti e di farti credere di averlo accanto a te mentre lo ascolti, spirito affine, o di farti sentire infinitamente solo. Insomma ciò che succede a chi possiede la dannata fiamma dell'arte dentro di sè: e come da copione Tim Buckley ha impersonato il proprio ruolo fino alla sua prematura scomparsa.


  • hellraiser
    16 apr 16
    Recensione: Opera:
    Ottimo debutto, i successivi saranno eccezionali ma qui si intravede già di che pasta è fatto il buon Tim. Rece non molto curata ma interessante
  • bluesboy94
    16 apr 16
    Recensione: Opera:
    In fondo è il suo album "adolescenziale" : scivola via leggero senza grosse vette e senza brani di cattivo gusto. La voce, però, già è di una bellezza stordente (senza essere ardita come nei dischi successivi e questo non lo vedo per forza come un difetto) e nobilita da sola questo pugno di "canzonette" (levigatissime negli arrangiamenti grazie anche alle mani esperte di Jack Nitzsche e Van Dyke Parks) . Recensione così e così.
  • luludia
    16 apr 16
    Recensione: Opera:
    scusami sai, ma per recensire tim buckley ci vorrebbe un po' più di carne al fuoco...
    • Ejapela
      16 apr 16
      Pensi si possa realmente recensire un genio di quella portata?
    • luludia
      17 apr 16
      oh si, certo...
  • dosankos
    17 apr 16
    Recensione: Opera:
    Buon esordio, ma meglio il successivo "Goodbye And Hello" anche se gli manca ancora qualcosa. Ecco che poi arriverà il poker d'Assi che calerà tra il '69 e il '70 (Happy Sad, Blue Afternoon, Lorca e Starsailor)
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Come disco di cantautorato folk secondo me a "Goodbye and Hello" non manca nulla anzi è anche decisamente originale, forte, già così intimista ("Pleasent Street" I Never Ask You... guarda caso scritte da Buckley anche le liriche qui). E' che già da "Happy Sad" ha cominciato semplicemente a fare altro ad andare oltre.
    • dosankos
      17 apr 16
      Esatto. È un grandissimo disco. Un disco da voti massimi. Forse è talmente andato oltre che rimango ancora più incantato quando ascolto quelli del biennio 69-70. Però a quelli il 6 non lo posso mettere
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Capita a tutti. Il mio disco preferito di Buckley resta "Starsailor" d'altronde, la cosa non è mai cambiata da quando lo ascolto.
  • hjhhjij
    17 apr 16
    Recensione: Opera:
    Giusto mantenersi sul 4 visto quello che ha tirato fuori dopo ma come dissi già in passato è un 4 tanto abbondante che rischia di esplodere, esordio stupendo, 19 anni e una voce del genere, già un grande talento nello scrivere canzoni bellissime anche se qui ai testi c'è ancora Beckett (come per metà delle canzoni del successivo) e per gli arrangiamenti è stato aiutato da due maestri come ha già detto bluesboy. Immaturo ma pieno di belle canzoni, "Valentine Melody" è già una canzone eterna e poi da uno che a 19 anni canta come canta lui in "Strange Street Affair Under Blue" uno "Starsailor" a 23 anni ce lo potevamo aspettare. C'è l'influenza dello stile di Fred Neil, anche, indubbia. Già tanta roba. E Lee Underwood è un chitarrista perfetto, simbiosi totale.
    • bluesboy94
      17 apr 16
      Non so se già l'ho detto, ma in questo disco (che è un disco molto pop e poco folk) non sento alcunchè di Fred Neil (di cui intuisco che Tim avrà ascoltato allo sfinimento l'omonimo e "Sessions")... nei tre successivi invece l'influenza si fa più palese (per esempio "Buzzin Fly" o "Blue Melody" sono canzoni "neilliane" fino al midollo).
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Ma lì c'è già altra roba, molto più personale, che lo differenzia da Neil per quanto questo sia rimasto un punto di riferimento. In questo c'è l'uso particolare della voce, ci sono delle atmosfere che mi rimandano assolutamente a Neil, in Goodbye non ne parliamo, laddove Buckley ha avuto più libertà anche negli arrangiamenti (qui c'è altra gente quindi da questo punto di vista si, Neil c'entra poco) l'influenza è ancora più netta e "Dolphins" dal vivo già spadroneggiava. Vero che c'è anche nei due successivi ma lì è già troppo Buckley ormai e molto meno "qualcun altro" (si potrebbe citare, per "Happy Sad" Tim Hardin). Per il discorso "Molto pop e poco folk" secondo me ricadiamo nel vecchio scherzo delle catalogazioni tra l'altro genericissime come pop e folk. Cos'è folk ? O pop ? "Valentine Melody" come la definiamo ? Boh. La Mitchell ad esempio ha detto che quando scriveva le canzoni poi finite sui primi 3 dischi al folk dell'epoca non ci pensava nemmeno per sbaglio, per dire. Eppure come vengono costantemente definiti quei dischi ? Folk. Discorso che finisce sempre in un vicolo cieco.
    • bluesboy94
      17 apr 16
      Al di là delle etichette pop o folk... ribadisco che l'influenza di Neil (e anche Hardin) mi sembra più palese nei dischi successivi all'esordio. Anch'io ho letto un'intervista recente della Mitchell (che Dio la preservi ancora a lungo) in cui diceva che in gioventù era più interessata ai lied di Schubert che alle canzoni di protesta.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Esatto, abbiamo attinto dalla stessa fonte. Riguardo a Buckley-Hardin si ovviamente dicevo, e forse non mi sono spiegato per niente bene prima, che proprio su "Happy Sad" si potrebbe citare la sua influenza. Sui primi due no, hanno esordito in contemporanea e lo stile e certe melodie del primo Hardin le ritrovi nel Buckley "di mezzo" solo molto più dilatato, complesso e comunque, ormai già tanto personale da essere troppo Buckley alle mie orecchie per collegarlo a marcate influenze esterne, che ci sono, per carità, pure in "Starsailor" ci sono, da Miles Davis a Ligeti. Neil qua si sente di meno perché molte canzoni sono più immature e leggere (Neil quando ha esordito in studio è partito già fatto e finito), con arrangiamenti che c'entrano poco con Neil ma il profondo intimismo Neilliano io lo sentirò sempre in pezzi come "Valentine Melody" anche per l'uso della voce. Ma su "Goodbye and Hello" mi sembra abbastanza ovvio che ci sia un occhio di riguardo verso Neil e, come ti ho già detto, non per questo sostengo che non ci sia anche successivamente. Solo che lì la personalità dello stile era aumentata e anche il raggio delle influenze da cui Tim attingeva.
    • bluesboy94
      17 apr 16
      Perfetto... ultima frase da incorniciare per quanto riguarda l'evoluzione spaventosa (avvenuta in un breve lasso di tempo) di questo genio autodidatta.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Vero. Spaventosa è il termine adatto, questo è passato in 4-5 anni da queste (belle) canzoni qui a "Starsailor" che è uno dei dischi più avanguardistici e coraggiosi che io abbia mai ascoltato e le sue caratteristiche non stiamo nemmeno qui a ripeterle. Viste le influenze del Davis Bitches Brewiano una volta Silaslang lo definiì "Jazz-Rock per Voce" e anche se ovviamente è anche molto e tutt'altro, è una definizione che mi è sempre piaciuta
    • bluesboy94
      17 apr 16
      "Free-Jazz" con la voce a fungere da strumento solista... quel disco resta un unicum anche dopo 45 anni!
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Ecco si, più o meno è quello che dicemmo con Silas. Pazzesco.
    • fuggitivo
      17 apr 16
      @[hjhhjij] col cavolo che tu a 19 anni hai fatto un disco del genere!
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Col cavolo che io a 19 anni ho fatto un quarto di canzone bella mezzo centesimo di una qualsiasi di questo disco...
    • fuggitivo
      17 apr 16
      Eh, fatti un paio di domande.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Si fuggi tranquillo. Adesso a nanna però eh da bravo.
    • fuggitivo
      17 apr 16
      Tranquillo tu. Era una domanda ironica e anche autoreferenziale. Quando leggi di sti fenomeni pensi: cazzo ho buttato la vita nel cesso. Scialla. :-D
    • fuggitivo
      17 apr 16
      "cazzo ho buttato la vita nel cesso", quando ovviamente non è così. Onde evitare equivoci.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Se pensiamo a "'sti fenomeni" attivi in campo artistico allora un bel po' di gente avrebbe buttato la vita nel cesso. Sono casi speciali. E comunque la vita nel cesso l'ha buttata lui, non noi ;)
    • fuggitivo
      17 apr 16
      "allora un bel po' di gente avrebbe buttato la vita nel cesso" appunto, è capitato a mezzo globo di sentirsi uno schifo ascoltando (adesso non li ricordo tutti) quei fottuti precoci/rockstar/drogati che a 16 anni avevano già pubblicato un album.
      Tim Buckley non ha buttato la vita nel cesso, ha fatto una "scelta artistica". Suicide is self-expression diceva Steele? P.S. so che Tim Buckley non s'è suicidato.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Certo che no è stata una ricaduta. E non giudico la sua precedente tossicodipendenza ma si parla di un ragazzo che dai 18-19 anni già era fortemente dipendente, la mia frase era esagerata per mantenere il tono della tua, piuttosto che noi o altri è più probabile che questo ragazzo morto a 28 anni la vita l'abbia buttata via anche se ci ha dato tanto. Ma qui il discorso si fa serio mentre il tono iniziale era chiaramente più leggero. E comunque "scelta artistica" un cazzo.
    • fuggitivo
      17 apr 16
      "Tim Buckley non ha buttato la vita nel cesso, ha fatto una "scelta artistica"." mi è uscita involontariamente troppo dura. Per me è stato uno dei tanti patti col Diavolo.
    • hjhhjij
      17 apr 16
      Se vogliamo vederla "poeticamente"... Oggi magari non sono in vena di solito di darei corda su questo :)
    • hjhhjij
      17 apr 16
      "ti" darei corda.
  • cappio al pollo
    17 apr 16
    Recensione: Opera:
    Una vertiginosa parabola che dura quasi dieci anni non avrebbe mai raggiunto le stelle se non fosse partita da queste alture. Oggi mi sento poetico.
  • Recensione: Opera:
    Un esordio che vale la pena di non far impolverare nel proprio archivio e farlo leggendo quello che hai scritto, stavolta soddisfa davvero tanto la mia condizione di ascoltatore/lettore... bravo jeff3buckley.

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