Beat… dall’inglese “battuto”? “perdente”? oppure come suggeritoci da Kerouac abbreviazione del latino “beatus” (beato, aspirante la santità?). Forse è proprio questo “Un Aldo qualunque sul treno magico”, è un cerchio che si chiude e porta a termine la restaurazione Beat iniziata dai Timoria nel 1999. In quell’anno l’uscita di Francesco Renga dal gruppo rese l’etica e lo stile Beat, l’identificazione del santo nel perdente, caratteristiche salienti dell’opera dei Nostri. "Un Aldo Qualunque..” è quindi il punto di arrivo non intenzionale, l’epilogo di una carriera, il punto più alto della ricerca tematica e stilistica incominciata anni addietro, un concept-album non propriamente detto, che segue un filo logico, una trama ben precisa e, non a caso, è il più cinematografico tra le opere timoriane. Se mi è consentita una piccola licenza, la carriera stessa dei Timoria potrebbe considerarsi un “concept”, un viaggio speso ad indagare certi temi, valori ed ideali, in un processo di affinamento tanto profondo e scrupoloso da cambiare, infine, i connotati stilistici e sonori dello stesso gruppo. Quest’ultimo lavoro, è un viaggio che, a differenza dei precedenti (Viaggio Senza Vento e El Topo Grand Hotel), non riguarda più l’eroe puro e perdente, Joe, ma i Timoria stessi, la loro storia (Non è divertente, Casa mia, Treno Magico).

Un salto nel passato

Negli anni 1960 la Beat Generation prima, poi il movimento hippy e la contestazione studentesca, introdussero nuovi argomenti, valori e obiettivi polemici nel pensiero giovanile internazionale: la critica alla civiltà delle macchine e dei consumi, al perbenismo e alla burocrazia, al dogmatismo delle religioni e degli stati; gli ideali del pacifismo, dell'uguaglianza sociale e razziale, dell'ecologia; le utopie della vita comunitaria, del solidarismo, di una società senza denaro fondata sul baratto e sulla produzione alternativa, del viaggio e della musica come fattori di esperienza e di comunicazione. Di questo patrimonio “ideale” i Timoria furono i maggiori ereditari almeno nel panorama rock italiano degli anni 1990. Il gruppo trasse, da quella stagione “magica”, alcuni filoni tematici, che negli anni, vennero elaborati sempre con maggior perizia, divenendo presto effigie del gruppo stesso.

Le radici

In primis, mi piacerebbe sottolineare come ripiombi al centro di questo album una tematica storica, il rapporto tra generazioni diverse, che già  fu cavallo di battaglia del movimento beat italiano (per esempio, Nomadi e Guccini). In questo lavoro i Timoria, che avevano già affrontato il tema in precedenza (L’Albero, Sacrificio, Senza Vento, ecc), indagano il rapporto generazionale attraverso tinte sonore e tematiche ben evidenti che sospirano, invidiano e ammirano, quella generazione, i valori che le furono propri e il “vento” che ne mosse le gesta (Il mare nella strada), temi e sonorità figli di un epoca, appunto, “migliore”, invidiata e ormai perduta.

L'arte cita se stessa

Nuovamente, fa capolino un profondo amore per la contaminazione; i Timoria vantano una interdisciplinarietà artistica raramente conquistata da altri gruppi del panorama rock nazionale. Pensiamo alle citazioni numerose e di ogni sorta: Neruda, Campana, Ferlinghetti, Calvino, Hugo, Leone, Jodorowskji, Hesse, Kerouac, Dostoevskji, Castaneda, Camus, i poeti maledetti. Ricordiamo già in Ritmo&Dolore del 1991 la poesia di Hermann Hesse “Jugendflucht” riadattata e incisa, o “L’uomo che Ride” ispirata al romanzo di Hugo, ancora da Hesse traggono spunto “Boccadoro” contenuto in 2020-Speedball e l’intero disco “Viaggio Senza Vento”, in cui si può ravvisare la medesima parabola umana presente nello splendido “Siddartha” dello scrittore tedesco. “Un Aldo qualunque..” è l’estrema conseguenza di questo amore per la contaminazione tanto che le canzoni del disco sono anche la colonna sonora dell’omonimo film di Dario Migliardi. Le musiche e i testi delle canzoni rispecchiano le atmosfere descritte nella pellicola, ambientata nella Torino degli anni '70. Il suono è  debitore di molti gruppi storici e non è casuale venga ripreso un concetto in voga trent’anni fa, quello del "magic bus" (convertito in “Treno Magico”), introdotto dagli Who e poi divenuto simbolo di un'epoca.

L'illusione e il controllo

Terzo tema rievocato nell’album è la critica al mondo virtuale, tema su cui furono spese le canzoni dell’album 2020-Speedball, e sul quale i Timoria sono tornati in altre occasioni (Mandami un messaggio), denunciando il potenziale pericolo degli strumenti tecnologici, nel loro abuso, nella perdita di relazione, in un uso strumentale e non creativo dell’oggetto. Nell’album “Un Aldo Qualunque”, emerge una modernità che toglie aria e spazio al sentimento e alle cose vere, penso in particolare a canzoni come “Fresco”, “Treno magico” e ancora “Il Mare nella Strada” e “Vivo alla giornata”.

Il viaggio

Infine, il tema cardine di una carriera, il Viaggio. Due dischi, in particolare, furono imperniati attorno a questo tema: “Viaggio senza vento” del 1993 e “El topo grand hotel” del 2001. Si tratta di due album, ispirati ai concept degli anni '70, protagonista dei quali è, il già citato Joe, guerriero alla ricerca di sé stesso. Indagato dai Timoria, sempre come viaggio interiore, filosofico e non necessariamente dal punto di vista fisico e geografico,  il viaggio trova qualche spazio anche nell’ultimo lavoro (pensiamo a “Fresco”, che è viaggio attraverso la malattia, a “Treno magico”, fuga dalla realtà). Un viaggio, quest’ultimo, dalle tinte autobiografiche, che vede protagonisti i Timoria stessi, la loro storia (“Casa mia” e “Non è divertente”), travagli, disagi  e cambiamenti nell’arrivo a Milano, in un luogo inospitale, che segue logiche e dogmi che non si confanno certo agli animi “santi” e “perdenti”. La soluzione finale sarà la lunga fuga sul Treno magico, fuga da cui i Nostri, purtroppo, non torneranno più.

Lo stile perduto

Oltre alle suddette rivisitazioni tematiche, in questo disco, va a compimento il lavoro di archivio sviluppato negli anni, le sonorità dei brani sono totalmente mutuate dagli anni ’70, dal Beat, dal rock psichedelico e dai gruppi che prestarono servizio in quel periodo: I Camaleonti, l’Equipe 84, The Mamas & The Papas, i Bee Gees. I Timoria da questo punto di vista, si dimostrano accurati ed armonici divulgatori, dando pregevoli interpretazioni, leggermente più elettrificate e potenti, anche di grandi brani del passato. Due chicche su tutte,  viene reinterpretata egregiamente la hit “To love somebody” dei Bee Gees, più che una scelta, una necessità, dato che le royalties richieste per la canzone originale avrebbero superato l’intero budget del film stesso, e Symbolum ‘77, grande classico del canzoniere oratoriano conciliato con il gusto molto seventies dell’album grazie ad una impetuosa elettrificazione.

Classici e avanguardia

Lontani dalle logiche di mercato e da quelle del facile alternativismo, quel che più si apprezza ascoltando gli ultimi Timoria è un suono classico che restituisce un album dalla piacevole atemporalità, ad un tempo avanguardia e vecchio vinile da collezione, suoni analogici e passati, vibrazioni vere e sane contrapposte alla disillusione e ad un sentimento di perdita e privazione. Si ha tra le mani un prodotto complesso, ricco di accezioni e simbolismi, che per essere compreso appieno esige la conoscenza delle fonti da cui il gruppo attinge; conoscenza che per la musica d’autore andrebbe sempre tenuta in considerazione. E’ poco assennato sparare a zero su questi signori che hanno lavorato con artigiana perizia, solo per la virata stilistica scelta e ricercata. Per chi vi scrive tale cambiamento era al tempo un approdo necessario; lo è sempre, quando viene a mancare un tassello fondamentale del quadro, meglio mischiare le carte, reinventarsi e ripartire, evitando di approssimare sterili copie di se stessi (Litfiba).
Diceva Henri Bergson: “Esistere è modificarsi. Modificarsi è maturare. Maturare è ricreare incessantemente se stessi”. Ma il dubbio è sacrosanto.

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