Non c'è che dire, proprio una bella copertina ha scelto Steve Austin per questo "In the Eyes of God". Elegante, fine raffinata, proprio come la musica che si cela dietro ad essa. Questo lavoro targato 1999 ci riporta ai Today is the Day più violenti e catartici. Il tentativo di un approccio più melodico e sperimentale che aveva caratterizzato il precedente "Temple of the Morning Star" non è stato però abbandonato del tutto, bensì superato, sublimato, stravolto nella velocità e nella schizofrenia.
Parlare di grindcore non è a mio avviso lecito: troppo alto il tasso tecnico dei tre componenti, e troppi e troppo fulminanti i cambi di tempo e di atmosfera che caratterizzano i diversi brani. Troppo ingombrante, in definitiva, l'ego smisurato di mister Austin, troppo penetrante il suo disagio esistenziale, troppo disturbante il suo grido di odio e di dolore. Ma ciò nonostante il grindcore rimane la cosa più vicina a questo delirio sonoro, altrimenti non definibile. Un grindcore, beninteso, inzuppato per i piedi nell'acqua rancida di una fetida fogna di un manicomio criminale.
20 pezzi per 50 minuti di follia allo stato puro, un massacro che non trova particolari punti di riferimento se non nel genio malato, inimitabile, inconfondibile di Steve Austin, oramai una garanzia nel più ampio panorama della musica estrema a tutto tondo. Rintracciabili qua e là delle vaghe influenze mutuate dal death metal classico (chitarre ronzanti che ricordano talvolta i Morbid Angel, blasfemissime mitragliate vocali che ovviamente si ispirano al Glenn Benton dei Deicide), ma per il resto "In the Eyes of God" è la rielaborazione dell'arte malefica di Austin in chiave ancora più brutale e mefistofelica. Il genio autistico di Austin è oramai come l'acqua stagnante di un putrido stagno che con il tempo fermenta esalando veleni sempre più nocivi e pestilenziali.
A portare una ventata di freschezza, una formazione del tutto rivoluzionata. E c'è da dire che questa volta Austin si contorna di musicisti davvero straordinari, e parlo di quei Brann Dailor (batteria) e Ben Kelliher (basso) che di lì a poco andranno ad ingrossare le fila dei fenomenali Mastodon. In particolare Dailor si rende responsabile di una prova davvero maiuscola: incredibile il suo drumming, in continua evoluzione, ma sempre e comunque devastante.
Che altro aggiungere? I brani, senza concedere alcunchè alla melodia, scorrono dinamici, fantasiosi, animati dalla follia incontenibile di Austin che vomita tutto l'odio possibile contro Dio, contro la "Grande Bugia" che si cela dietro alla figura di Dio: il grido/lamento di furore/dolore di Austin, carnefice e vittima al contempo, è un turbine di follia assassina che macina e secerne emozioni negative senza trovare un attimo di respiro o di riflessione. Come non citare, per esempio, l'abisso emotivo in cui ci trascinano i sette rivoltanti minuti di "Going to Hell", oppure il micidiale trittico "Spotting a Unicorn" - "Possession" - "The Color of Psychic Power", tre schegge epilettiche che non possono che lasciare senza fiato l'incauto ascoltatore.
Brani brevi, irrazionali, disarticolati in non-strutture, in cui a fare il buono ed il cattivo tempo è il latrato disturbato e disturbante di Austin, che tratteggia agghiaccianti monologhi sempre e comunque intrisi di sangue, disprezzo, disperazione.
Il fantasma di "Temple of the Morning Star", le astruse costruzioni di chitarra, i desolanti arpeggi, le atmosfere allucinate che avevano caratterizzato il lavoro di due anni prima riemergono solo a tratti, trasfigurate, fagocitate, tritate nel caos tremebondo che anima questa nuova incarnazione della Setta di Nashville: cori di bambini infestano "The Russian Child Porn Ballet", mentre in "Argali", "Who is the Black Angel?", "False Reality" e "Martial Law" l'insana arte di Austin si placa momentaneamente nella paranoia e nella malattia, prima che la furia grind torni nuovamente a spazzare via tutto.
"There is no End", annichilente brano di chiusura, c'inganna nelle sue false conclusioni, come in un gioco di scatole cinesi, accompagnadoci direttamente all'Inferno attraverso i ritmi frenetici di una coda strumentale da cardiopalma e le inquietanti nenie di un rito voodoo.
Un capolavoro. Per quanto mi riguarda, superiore anche a quel "Temple of the Morning Star" che da molti viene additato come l'apice artistico dei Today is the Day. Ascoltare per morire.
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