Proprio in un periodo come questo nel quale la scena Depressive Black si stà affermando come non mai, è secondo me necessario fare una cernita di quali sono gli artisti che realmente meritano di essere presi in considerazione, tenendo conto del fatto che quando esplode un fenomeno musicale sono molte le band inconsistenti che seguono il carrozzone del trend del momento per raggranellare un pò di fama. Oltre alle band capostipiti del genere sopra citato, come Xasthur, Shining o i nostri Forgotten Tomb, o i precursori, come Manes, Burzum, Strid o i mai troppo incensati Bethlehem, una band che sicuramente si stà facendo notare a livello underground sono i Todesstoss, one man band proveniente dalle lande tedesche, che rilasciarono nel 2005 questo EP dell'esigua durata di poco più di un quarto d'ora per i tipi dell'AAP.

Già dai primi accordi si viene colpiti dalla particolarità della produzione: chitarre fredde e aliene, dai suoni marci ma con un qualcosa di sintetico, drum machine minimale all'estremo che scandisce ritmi marziali quasi industrial, ma ciò che più emerge da tanta malsanità sono le vocals, gemiti, mugugnii, urla disperate e oltremodo angoscianti. I riff sono veri monumenti paranoici eretti per l'adorazione e la conseguente sublimazione della psicopatia pura, scarni, ripetitivi, inquietanti ed ossessivi.

La title track, posta in apertura, è un'oscura marcia allucinante verso la pazzia, un crescendo vorticoso di genuina malattia mentale, un viaggio tra i sentimenti più negativi dell'esperienza umana, dolore, angoscia, paranoia, frenesia suicida, panico. Martin Lang, factotum di questo progetto, lascia da parte le reminescenze black di lavori quali per esempio "Jenseitsluge" per incorporare elementi Doom, ed il risultato è un lavoro in grado di riportarci alla mente pietre miliari del dolore messo in musica come "Dictius Te Necare" dei Bethlehem o "Death, Pierce Me" dei Silencer di Nattram. La seconda traccia, "D., Das Weisse Ross" è totalmente strumentale, dove riff di chitarra e rumori oscuri si sovrappongono creando trame più rilassate della canzone precedente; nonostante qualitativamente tra le due composizioni non ci sia storia, la seconda resta un episodio da non buttare. Altra particolarità del disco sono i testi, frammenti letterari tratti dal poema di Philipp Ficke "Die Schwartzen Witwen", scritti e recitati in tedesco, quindi non alla portata di tutti, o meglio, sicuramente al di fuori della mia.

Per concludere, questo è un EP che sicuramente farà la felicità (o meglio, l'infelicità, vista la non indifferente mole di negatività che scaturisce dall'ascolto) di tutti gli amanti del Depressive più malato e folle, consigliato a tutti quelli che si disperano perchè al mondo non esiste nessuno in grado di raggiungere le vette di acts quali Bethlehem o Silencer: ora questo vuoto è stato riempito dalla follia palpabile e dalla sincera pazzia di quest'uomo, Martin Lang, che confeziona un lavoro di altissimo livello emozionale. Buon ascolto.

Elenco e tracce

01   Beutetrieb Schwarzer Witwen (11:18)

02   D., Das Weiße Roß (05:11)

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