Se siete alla ricerca di complessità, sperimentazione, messaggi forti, spigoli vivi, pugni nello stomaco e cose simili questo non è il disco che fa per voi, altrimenti, benvenuti nel remoto, rurale e verdeggiante North Dakota, da cui proviene Tom Brosseau, un folksinger senza dubbio poco appariscente, e ancor più indubbiamente talentuoso. Quello che lo "penalizza" è proprio il suo stile: lui si affida, almeno in questo album, unicamente a una strumentazione acustica, tirandone fuori delle melodie semplici, leggere, rilassate, prive di qualsivoglia complicazione e pretenziosità. A qualcuno potrebbe apparire quasi incolore, scialbo, ma Tom Brosseau è un bravissimo e umile artigiano della melodia folk, che con charme ed ironia compensa la sua attitudine da dimesso ragazzo di campagna.

Ho avuto modo di ascoltare un paio di album di questo bravo songwriter, attivo dal 2002: "Grass Punks" del 2014 e "A Perfect Abandon" dell'anno successivo, "Grass Punks" tra i due è il più minimale, nonchè il più riuscito. Una mezz'ora scarsa di musica, deliziosi intrecci tra chitarre e mandolini, brillanti "canzonette", arpeggi che che restano impressi con quell'efficacia che solo le cose semplici possono avere. "Grass Punks" è pienamente in linea con alcuni princìpi donovaniani a me particolarmente cari: melodie facili, scorrevoli, quasi al limite della filastrocca, atmosfere costantemente trasognate, quel tipo di approccio che tinge di sorniona ironia gli episodi più allegri e stempera con un velo di leggerezza quelli un po' più melanconici, una vocalità leggera, mai "calcata", mai sopra le righe. Il tutto in chiave americano-bucolica.

Le otto canzoni di "Grass Punks" (a cui si aggiunge un breve strumentale) sono tutte belle. Tutte, senza eccezione alcuna. "Love High John The Conquer Root" in "A Gift From A Flower To A Garden" ci sarebbe stata benissimo, è la ramificazione più ironico-stralunata di una radice comune a tutti gli episodi, un pattern che muta senza mai stravolgersi, mostrando di volta in volta sfumature differenti. Il suono limpido e cristallino di "Gregory Page of San Diego", quello più fruido e disteso, deliziosamente ipnotico, di "I Love To Play Guitar", un leggiadro sirtaki della prateria, più o meno, "Cradle Your Device" che avanza senza peso, tremolando spensieratamente, il soffice tepore di "Stuck On The Roof Again", ballad pigra e sonnacchiosa in una maniera impeccabile. Un difettuccio ci sarebbe, ovvero questa stupida copertina triste e grigiastra, ma è l'unico che mi viene in mente, per il resto "Grass Punks" è bellissimo, basta, solo questo volevo dirvi.

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