Tom Russell è un caparbio stakanovista del folk: ad un anno da un album come "Modern Art", nel complesso mediocre e confusionario ha già pronto il disco del riscatto, per di più concepito sulla falsariga del poco fortunato predecessore. Infatti, come "Modern Art", anche "Indians Cowboys Horses Dogs" del 2004 è un misto di inediti e cover, e trova il suo punto di forza in quello che per MA era la lacuna più evidente; ovvero è un album caratterizzato da una forte identità, da un preciso, ben definito stile musicale e tematico. "Indians Cowboys Horses Dogs" è un viaggio nelle sonorità del vecchio west, ma non si tratta di un album brillante, elettrico, dai toni talvolta epicheggianti come "Borderland" del 2001: questo disco suona molto più asciutto, prevalentemente acustico e dominato da ballate avvolte da un alone di spleen, e la stupenda voce di Tom Russell si adatta alla perfezione a questo particolare contesto, suonando più grave e dolente, come impastata di whiskey.
Gli inediti di "Indians Cowboys Horses Dogs" sono solo quattro, tutti di grande livello, e rappresentano il nocciolo, l'anima più tormentata e profonda dell'album, dall'iniziale "Tonight We Ride" che, dopo un illusorio attacco altisonante rivela subito la sua natura, in cui suggestioni tex-mex si contaminano con una dolente, ma trascinante malinconia alla conclusiva "Little Blue Horse", una dolce ninna-nanna, accompagnata solo da una sommessa chitarra acustica passando per "All This Way For The Short Ride", amara ed essenziale, un po' il simbolo di tutto l'album e "Bucking Horse Moon", una malinconica serenata western in cui la voce di Tom Russell quasi si bagna di pianto. Le rimanenti otto canzoni sono cover di altri artisti, che in "Modern Art" erano inutili zavorre mentre qui sono perfettamente funzionali al contesto, tutte azzeccate e magistralmente riproposte; su tutte "El Paso", la canzone simbolo del pioniere della moderna western music, Marty Robbins, che diventa più viva e realistica, meno "patinata" e cinematografica grazie all'interpretazione sofferta di Russell, senza tuttavia modificare una melodia immortale e leggendaria. Le atmosfere rurali, acustiche e sofferte tipiche di quest'album affiorano prepotentemente in una ballata strappacuore come "No Telling" di Linda Thompson e nell'affascinante "East Texas Red" del piccolo padre della folk music americana, Woody Guthrie.
"The Ballad Of Ira Hayes" dello sfortunato Peter La Farge è un commosso tributo alla cultura ed all'orgoglio dei Nativi americani, che viene recitato con l'ausilio della sola chitarra acustica, semplice accompagnamento per la voce profonda ed emozionante di Tom Russell, che riesce a rinunciare al canto senza perdere la sua potenza comunicativa. Bob Dylan viene omaggiato con ben due cover: una è una vera e propria chicca, la sconosciuta "Seven Curses", una polverosa western song carica di tensione ed accompagnata da sommessi fraseggi di chitarra, che sembra scritta apposta per far parte di un album come questo, l'altra è un grande classico: "Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts", arricchita dalla presenza della grintosa folksinger Eliza Gilkinson e del country rocker Joe Ely, che dividono la scena con Tom Russell in una performance di grande impatto, musicalmente più diretta ed essenziale dell'originale ma particolarmente epica, ritmata e coinvolgente grazie anche alle tre voci che si alternano in un crescendo ottimamente sostenuto dal suono di un organo che accompagna e disegna la melodia.
Tirando le somme, il giudizio critico per "Indians Cowboys Horses Dogs" non può che essere positivo: si tratta di un ottimo album, leggermente inferiore ai grandi capolavori di Tom Russell ma ben prodotto, pensato e curato nei minimi particolari; è un album emozionante, dolente ed intenso, non per tutti i giorni, e raggiunge in pieno lo scopo che l'artista si era prefissato, riuscendo ad evocare con credibilità e partecipazione emotiva un mondo affascinante ed ormai facente parte del passato, quasi del mito senza per questo risultare un lavoro vecchio e statico, risultando assai superiore al più moderno e pretenzioso "Modern Art" e mettendo in mostra un Tom Russell ritrovato ed in netta ripresa, che da lì a due anni riuscirà ancora a superarsi con un album del calibro di "Love And Fear".
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