Poche sono le certezze nella vita, anzi si può dire che quasi non ce ne sono affatto. Per quanto mi riguarda, una di queste pochissime certezze è che se uno ama il cinema, deve amare anche lo Studio Ghibli (e per l'amor del cielo, leggetelo "Gibli", ve ne prego), dal mio punto di vista il miglior studio d'animazione assieme alla Pixar (non me ne vogliano gli amanti della Disney).

Dalla sua fondazione, ha prodotto oltre venti lungometraggi animati. E non ha quasi mai mancato un colpo. Di solito, il nome del Ghibli è associato a quello di Hayao Miyazaki (regista di molti capolavori dello studio, come Il castello errante di Howl, La città incantata o La principessa Mononoke). Ma oggi non voglio parlare di un film del maestro ma di un altro regista, meno famoso, dello studio: Tonomi Mochizuki, che si è sempre dedicato ai film per la televisione. E l'oggetto della recensione odierna, Si sente il mare, non fa eccezione: uscito nel 1993 per la televisione giapponese, è arrivato nel Bel Paese solo recentemente.

Normalmente, i film dello Studio Ghibli hanno un'ambientazione e una trama orientate verso il fantasy (il succitato La città incantata) o, comunque, con elementi lontani dal realismo (Porco Rosso). Mochizuki, invece, ha deciso, insieme allo sceneggiatore Saeko Himuro, di portare sugli schermi una storia che affonda le sue radici nella realtà: nessun personaggio fantastico, nessun mostro, nessun'entità sovrannaturale. Tutti i personaggi sono umani, le azioni lo sono altrettanto. La storia racconta di un triangolo amoroso, due amici (Taku Morisaki, il protagonista, e Yutaka Matsuno, il suo migliore amico) che si innamorano della medesima ragazza, Rikako Muto, la nuova arrivata nella loro scuola, la quale fatica ad integrarsi, soprattutto con le compagne di classe. La trama, dunque, non è delle più originali, non molto diversa dai classici teen movies. Originale, invece, è la struttura del film: solitamente, i teen movies hanno una narrazione molto lineare, non troppo complicata. Si sente il mare, invece, utilizza molto i flashback, con diversi piani temporali che si intrecciano, risultando comunque perfettamente comprensibile. Interessante è anche come Mochizuki abbia deciso di rendere il passaggio da un piano temporale ad un altro: quando la trama si svolge nel presente e deve passare ad un momento passato, la scena del flashback ha inizio in un piccolo riquadro a centro del fotogramma, mentre il resto è completamente bianco e, nell'arco di pochi secondi, si ingrandisce staccando su un'inquadratura diversa, per poi occupare l'intero fotogramma, come se il flashback fosse dall'altra parte di un tunnel e noi lo attraversassimo per raggiungere il passato. Purtroppo, la breve durata del film (una settantina di minuti scarsa), non permette uno sviluppo troppo approfondito dei personaggi e della storia: in questo modo, non basta una sola visione per assimilare appieno questo lavoro dello studio dei sogni.

Neanche a dirlo, è un film ben lontano dalla (quasi) perfezione raggiunta dai film del Maestro ma l'impatto visivo delle immagini che Mochizuki ci propone è veramente ottimo, la luce dei suoi disegni è delicata ed elegante. Nonostante che l'animazione non sia molto fluida (spesso si riescono a contare ad occhio nudo i singoli fotogrammi), riesce comunque ad emozionare lo spettatore, che si lascia coinvolgere dalle vicende dei personaggi perché quello che vediamo è quello che a tutti, prima o poi, capita: chi non è mai stato innamorato? Chi non ha mai litigato per amore? Una cosa che spesso si può riscontrare nei film d'animazione, soprattutto, è che i personaggi non hanno delle reazioni riscontrabili nelle persone della vita vera: i personaggi di Taeko Himuro, invece, sono perfettamente umani, lo specchio del mondo vero.

La qualità registica è ben lontana da quella dei capolavori dello studio (tra i quali ho, recentemente, aggiunto La tartaruga rossa, di Michael Dudok de Wit, sul quale magari farò una recensione), eppure alcune immagini sono indelebili, grazie ad un uso della luce e dei colori che sono propri dell'animazione giapponese, soprattutto quelle che hanno l'ambiente come protagonista: in particolar modo, la resa del cielo è veramente spettacolare ed emozionante, soprattutto se si ha una passione per le nuvole come me (tanto che mi piace molto fotografarle... lo so, ho quache problema).

Decisamente consigliato a chi ha già dimestichezza con lo Studio Ghibli: se qualcuno non ha mai visto un film di questo studio, di certo non consiglierei questo per cominciare.

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