In questi tempi di oscurità battente, in cui l'animo è pressoché annientato dalle bassezze economico-continentali di una umanità delirante e facebook-dipendente, una vibrazione sorda propaga se stessa risultando impercettibile ad anima alcuna.

Verde come la nausea da noi tutti provata alla sola innocente accensione del beneamato Digitale (assai poco) Terrestre, il colore della copertina di questo sublime lavoro apre porte mentali che mai ci saremmo sognati di poter gradire lungo il silenzioso frastuono europeo contemporaneo.

Perché io ci provo, credetemi, a farmi piacere tutta la prosopopea stoner-doom contemporanea.. ma da almeno quattro anni a questa parte ritengo vi sia poca, anzi, pochissima roba in grado di farmi ringalluzzire come un presidente del consiglio in cerca di denudati e danzanti guai arcoriani. E come sempre, perchè il tempo è tutto fuorché una stronza buffonata, soltanto band che hanno conosciuto le albe della prima metà del passato decennio sanno donarmi (e perpendicolarmente, forse donarVi) splendori audio-proiettanti come l'album in questione.

Trattasi dei divini Toner Low, trio olandese a cui va riconosciuta la preziosissima (e rarissima) dote della efficace semplificazione, profusa mediante tonnellate di onde sonore che vedono come raccoglitore ultimo, il medesimo (e guarda caso proprio ultimo) lavoro in studio denominato con il numerico appellativo di III (2013 – Bilocation/Roadkill Recordz). Mari oppiacei senza fondo, crolleranno compatti e delicati sulle vostre orecchie (a mio avviso) troppo orientate al sempre più crescente e marketing-andante conformismo Roadburniano. Beh, se potessi farlo di persona, ringrazierei con entusiasmo gente come questa, che traendo molto probabilmente ispirazione da pietre miliari dell'ambito come Sleep, Bongzilla, Earth, Sons Of Otis e non ultimi, gli italianissimi Ufomammut (di cui ritrovo qualche antichissima e oramai perduta strategia compositiva), rendono onore al dio dello Stoner-Doom più esoterico, dopato, dilatante, rassicurante, psico-delirante e contemporaneamente spiritual/generante.

La composizione è dotata di quattro fasi (o Phases, per essere più precisi), che meglio non potevano descrivere ciò che la mente attribuisce alla propria essenza una volta divaricata e sottomessa al verdognolo abbandono della dolce, dolcissima foglia a sette punte. Phase Six, Phase Seven, Phase Eight e Phase Nine, sono in ordine le gracchianti e lussureggianti tracks che sublimerebbero la razionalità di qualsivoglia intellettual-situazionista-pseudo politicante dei nostri stramaledettissimi e terminali giorni, in cui una civiltà come la nostra altro non vede (o non vuol far altro che assistere, impotente) ad una fase di palese ed irreversibile decadenza. Improbabili ma azzeccatissimi organetti, stridule ed oscene litanie analogico-sintetizzate, orgasmici riff di basso surriscaldati dalla possenza di valvole ultra-watteggianti e feedbacks fastidiosi come ruggine nelle vene, saranno le uniche ed impietose variazioni su un tema unico: bordate e bordate e bordate e bordate e bordate e bordate e bordate di buon, vecchio, stoner-doom settanteggiante.

Unica discrepanza: un finale tragico, nel quale un pianoforte solenne, emette note che meglio non potrebbero rappresentare la fine dei tempi, e l'inizio di qualcosa di nuovo ed enigmatico.

Uno di quei trip che manderebbero affanculo in un solo istante il pianeta terra.

Uno di quei trip che si fanno chiusi nel luogo di lavoro, progettando la fuga dal resto dell'umanità.

Uno di quei trip che fareste subito, senza esitazione, scappando da una relazione/carcerazione auto-inflittavi senza senso, nè motivo alcuno.

Uno di quei trip che dovrebbero farsi molti, anzi moltissimi, di quei signorotti che fondano nell'auto-miglioramento palestr-andante munito di integratori, l'unica e masturbante via di scampo ad una vita priva oramai di alcuna direzione e senso logico sessual-disfunzionale.

Tacete, per una volta.

Finalmente, un fottuto trip.


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