Tony Wakeford accantona per un momento i suoi Sol Invictus e si concede una parentesi solista. E quella che pareva dover essere una pausa di riflessione atta a raccogliere le forze e a ricomporre il progetto principale (lacerato dalle continue defezioni), si rivela invece un qualcosa con una ragion d'essere ben definita.

E' come se Wakeford si spogliasse del suo fragoroso e tonante personaggio e volesse instaurare un legame più intimo e pacato con l'ascoltatore. Intendiamoci: Wakeford, per quanto prolifico, rimane un artista irriducibilmente coerente a se stesso e alla sua visione artistica, e chi lo conosce sa bene che il frutto scaturente dalla sue mente e dal suo cuore non potrà cadere molto lontano dal ramo. In un certo qual modo, tuttavia, Wakeford riesce questa volta a spiazzarmi. Sul sito della band si parla addirittura di "Traditional Folk/Folk Noir with elements of 70's prog and psychedelia." Per quanto mi riguarda, avevo già avuto modo si udire qualche brano di "Into the Woods" durante la recente calata italica dei Sol Invictus, e l'impressione era stata che il cammino del Nostro fosse definitivamente orientato verso un folk sempre meno apocalittico e più legato alla tradizione popolare inglese. La presenza nell'album, poi, di una fata come Kris Force e di quel folle ciambellano di corte che è Andrew King, spuntato fuori chissà da quale epoca dimenticata, non poteva non indurci al pensiero di una fuga a gambe levate dalla modernità.

In realtà Wakeford torna armato di sinth e campionatori, e ci consegna il suo lavoro più "sintetico" da un po' di anni a questa parte. Sempre di folk si tratta (il violino di Renée Rosen, già nei Sol Invictus, e il flauto di Guy Harries sono lì a ricordarcelo), ma l'uso di sinth, voci in loop ed effetti vari ci riportano a certi esperimenti che il menestrello apocalittico aveva praticato ad inizio carriera. Le chitarre acustiche, sempre presenti, sono questa volta lasciate in secondo piano.

A dominare è certamente l'atmosfera, e quelle ambientazioni esoteriche che hanno sempre fatto capolino qua e là nei lavori dei Sol Invictus, emergono oggi con maggiore forza: sotto forma di eterei gorgheggi, ariose tastiere e tintinnii vari, concorrono a creare una dimensione magica, una musica malinconica, crepuscolare, "densa di presenze". E proprio nelle alchimie di tastiere ed effetti (anche vocali), possiamo rinvenire le influenze psichedeliche sbandierate nella presentazione di sopra, mentre per quanto riguarda quelle prog, se proprio ce le vogliamo vedere, gli intrecci di chitarra acustica, sinth e flauto traverso possono richiamare in qualche modo il fantasma della gloriosa scena di Canterbury, anche se, personalmente parlando, non mi spingerei a tanto. Il flauto, infatti, scheggia che è una bellezza, mentre le ritmiche si fanno a tratti incalzanti, ma da qui ai Caravan ce ne corre. Del resto l'anima inquieta di Wakeford non poteva tranquillamente adagiarsi sulle cinguettanti campagne inglesi. "Into the Woods", piuttosto, è il riposo del viandante che decide di sostare e cullarsi nell'intimità di un boschetto ombroso. Boschetto che in realtà cela forze misteriose, spiriti della notte, fruscii nel silenzio.

E' un disco magico "Into the Woods", un gioiellino che può rinfrescarci durante le afose serate estive. In poco più di quaranta minuti, Wakeford riesce a condensare idee ed intuizioni che probabilmente non avevano avuto modo di trovare spazio nel sound integralista dei Sol Invictus. Ma il marchio dell'artista è ben evidente nel corso dell'intera durata dell'opera, che si tratti di ipnotiche progressioni elettroniche ("A Saint in Roseland"), stralunate ballate ("A Small Town in Germany"), balde filastrocche medievali ("The London Hanged") o malinconiche nenie dal sapore rituale ("Take the Steps"). Da segnalare senz'altro la coinvolgente title-track, il momento più movimentato del lotto, a tratti davvero prog, e l'incalzante "Down the Road Slowly", uno di quei pezzi folk ad alto tasso epico da cantare impavidamente ad alta voce, a petto gonfio e con pugno roteante nell'aere.

A rimettere tutti in riga, infine c'è la meravigliosa "The Devil Went a Travelling", non a caso posta in chiusura (prima dell'immancabile reprise della title-track). Questo pezzo ci riporta ai Sol Invictus più coraggiosi e fottutamente apocalittici: è un triste cammino quello di Tony, che ci sorride nella foto del booklet interno, ma che evidentemente si incammina lungo la via del tramonto con passo malinconico e misurato. Ma in questa canzone, aperta da vigorosi rulli di tamburi e trasportata da monolitici arpeggi di chitarra acustica, che torna finalmente protagonista, Tony ci ricorda che nonostante tutto non si ancora arreso: le tastiere si sfaldano in vortici metafisici, le parole si perdono in echi lontani, ma Tony permane saldamente al timone, sempiterno ribelle alla sua condizione di sconfitto.

La sua lotta continua imperterrita, ancora oggi, ma per questa volta lasciamolo riposare. In un comodo giaciglio di foglie secche, fra i fitti alberi di un bosco, al calore in un piccolo falò. "The devil said my boys, All good things must end, Here am I far from home, No soul and no friend...".

Elenco e tracce

01   The Woods (00:18)

02   A Saint in Roseland (04:34)

03   Lightning Strikes (04:03)

04   In the Woods (03:33)

05   Into the Woods (05:50)

06   A Small Town in Germany (04:01)

07   Down the Road Slowly (05:35)

08   The London Hanged (01:55)

09   The Hangman's Son (03:54)

10   Take the Steps (03:18)

11   The Devil Went a Travelling (03:54)

12   If You Go Down to the... (02:13)

Carico i commenti...  con calma