Tor Lundvall è un giovane pittore e musicista americano. La sua avventura discografica inizia nel 1998 con "Autumn Calls", frutto della collaborazione con un certo signore di nome Tony Wakeford; non è un caso che alcune fra le più belle copertine degli album dei Sol Invictus portino la sua firma. Mi sono avvicinato a questo "Last Light" (edito nel 2004, primo album uscito dopo il crollo della World Serpent Distribution) attirato proprio dall'immagine ritratta sulla sua copertina: l'interno di una camera da letto in penombra, una finestra che dà su un quieto paesaggio di alberi spogli su cui sembrano ricadere dolcemente gli ultimi raggi di sole, prima che il manto della notte si porti via tutto. L'istante impercettibile del crepuscolo in cui luce ed ombra si abbracciano e confondono in un fragile e fugace equilibrio.

 

Cosa aspettarsi se non un dolce folk dai toni mistici e bucolici? Niente di tutto questo: Tor Lundvall si fa autore di un raffinato "ambient cantautoriale" intriso di umori intimistici e profondamente malinconici. I nomi che per primi vengono in mente sono quelli di un Satie e di un David Sylvian. Il primo per l'attitudine minimale, poiché i brani si reggono su pochi ma intensi rintocchi di pianoforte, seguiti da lunghe ombre di riverberi ed echi ambientali. Il secondo per l'impronta eterea, per i delicati intrecci fra canto, sintetizzatori e fraseggi elettronici. Ma ad esser più precisi, declinando il nostro discorso su musicisti che fra l'altro potremmo collocare tranquillamente fra i discepoli di Sylvian stesso, potremmo sostenere che le composizioni di Lundvall evocano con semplicità certe atmosfere dei Porcupine Tree più gelidi (quelli di "Russian On Ice", tanto per intendersi), la sua voce ricorda non poco quella di un giovane Steven Wilson; oppure, a venirci in mente, potrebbero essere certe lente dei Depeche Mode animate dal fragile canto di Martin L. Gore, o perfino gli Ulver di "Shadows of the Sun", abili tessitori di una musica che potremmo definire il perfetto connubio fra ambient, elettronica e musica da camera.

 

In verità la musica di questo piccolo grande artista, che si fa carico di tutti gli strumenti, porta in sé una sua peculiarità che la rende unica e totalmente disgiunta dai musicisti sopra citati: Lunvall è abile nel tratteggiare paesaggi dell'anima che poco si discostano da quanto prodotto per mezzo di colori e pennelli. Fedele specchio della sua arte pittorica (incentrata su paesaggi bucolici in cui presenziano spesso figure umane isolate; una tecnica che prevede l'uso di colori accesi e gioca su una vigorosa tensione fra luci ed ombre), la sua musica si evolve per sfumature e tenui variazioni di tonalità, con semplicità e squisito gusto naif, attraverso un certosino lavoro di rifinitura. Avvolgenti ed alienanti al tempo stesso, i dodici brani che compongono questo "Last Light" sembrano sviluppare un unico discorso, dove poche note, impercettibili variazioni ritmiche ed il paziente respiro ambientale, traghettano l'ascoltatore nei luoghi della propria infanzia: un'infanzia ideale fatta di giochi innocenti e paesaggi autunnali, di alberi spogli e di un tappeto di foglie scricchiolanti sotto il passo cauto di chi cerca nascondigli inespugnabili in una vegetazione scarnificata dal freddo e dal gelo.


Maniacale la cura del dettaglio, l'intarsiatura dei tasselli, la calibrazione dei suoni: un insieme puntiforme che si delinea nella rifinitura delle parti, come se questa musica, invece che il frutto della riduzione progressiva degli elementi, fosse lo sviluppo attento ed appassionato di poche idee. Poche idee, ma più che sufficienti per edificare un vero capolavoro, un gioiello di pura estasi emotiva, o, meglio ancora, di stasi emotiva, come se l'autore avesse voluto fotografare, catturare, intrappolare l'emozione di un istante. Una musica descrittiva, didascalica che sembra volersi fermare, umilmente, alla pure contemplazione, un attimo prima di una reale presa di coscienza, tanto che non si può dire che questa musica viva di un vero e proprio climax emotivo: così come nasce, questa musica svanisce, senza regalare particolari sussulti, ma ammaliando i sensi fin tanto che essa dura. 

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