Attendevo con grande entusiasmo questo ritorno dei TransAtlantic e devo dire che l'ascolto di "The Whirlwind" ne è decisamente valsa la pena (dell'attesa ovviamente) e altrettanto forte era il mio entusiasmo alla notizia che avrebbero suonato a Milano e ancor più forte era la convinzione che dovevo andarci, soprattutto dopo essermi perso Porcupine Tree e Riverside.

Prima ho atteso intelligentemente, cercando di trovare qualcuno con cui andare, ma poi, dopo aver avuto la conferma da coloro che erano venuti con me al Progressive Nation (conosciuti tramite Facebook) mi sono tuffato di corsa nel centro commerciale più vicino a casa ad impossessarmi del biglietto. È un'emozione fortissima e l'attesa non fa che crescere ulteriormente. Ancora una volta l'acquisto è avvenuto all'insaputa dei miei; al Progressive Nation rivelai solo a due giorni dall'evento di avere il biglietto nel cassetto, questa volta lo scopre subito mia madre vedendo il tagliando giallo sulla scrivania, mio padre è un po' perplesso sulla lontananza del luogo e sull'orario del ritorno (e presunti rischi), convinto che io ci andassi da solo e comincia le sue solite e interminabili quanto odiose discussioni polemiche, ma si placa quando scopre che non sono da solo ad andarci. Certo che fare discussioni come queste ad un ragazzo di 21 anni non è roba da padri coraggiosi, ma qui non c'è spazio per chi ha sempre paura che succeda qualcosa!

E così arrivò il gran giorno. Dopo aver incontrato suddette persone all'uscita della metrò (e dopo aver ricevuto elogi da una di loro, contentissima di vedermi per la prima volta dopo aver partecipato all'idolatria che vi era su Facebook nei miei confronti da parte di molti per la mia conoscenza e per miei discorsi e le mie considerazioni sul prog moderno) l'attesa fuori dall'Alcatraz non è di quelle mastodontiche e ciò non mi sorprende; mi sorprende piuttosto la massiccia affluenza di metallari, dato che il gruppo non è certamente metal. E così si entra. Discutibilmente (e qui voglio che uno scienziato si metta ad analizzare i loro neuroni per capire il perché di tale decisione) ci chiedono di lasciare lì all'ingresso lattine e bottiglie; pensa un po', uno potrebbe avere un'arma da fuoco e far fuori tutti e a loro importava che nessuno avesse né bottiglie né lattine, bah! Lasciamo perdere.

E dopo un'attesa piuttosto lunga e sofferta... eccoli sul palco, pronti con il primo set del concerto. Una luce inquadra l'Italia sulla scenografia (corrispondente alla cover del nuovo disco) e fa salire ulteriormente l'emozione. I quattro sono finalmente sul palco pronti ad eseguire tutto d'un fiato e senza interruzioni l'intera suite "The Whirlwind", che da sola compone il loro ultimo album. Molti si sarebbero chiesti se l'avessero suonata senza troppe imperfezioni e ricordandosi tutto a memoria... ma abbiamo di fronte dei grandi musicisti, che non devono mai spaventarsi, nemmeno di fronte ad un lunghissimo spartito di 77 minuti. Il più "Tamarro" come sempre Portnoy: io l'avevo decisamente vicino (ero abbastanza davanti, decentrato sulla destra, proprio all'altezza della batteria, posizione tra l'altro ideale per effettuare delle riprese) e ho visto bene come egli si dimostra sempre capace di trascinare il pubblico; poi è stato notevole vedere come nei momenti in cui c'era da picchiare più forte egli lo faceva con una tal grinta che si vedevano le schegge di legno schizzare dalle stecche mentre dava i colpi. Il più riservato è stato invece il bassista Pete Trewavas, molto tranquillo ed espressivo invece il chitarrista Roine Stolt, più vivace, ma in maniera piuttosto contenuta, il cantante e tastierista Neal Morse. Preziosissimo si è rivelato sul palco l'apporto del leader dei Pain Of Salvation Daniel Gildenlow (che già li aveva accompagnati in tour ai tempi di Bridge Across Forever); egli è apparso molto vivace, allegro, quasi un ragazzino dice qualcuno che scorazzava volentieri in giro per il palco e suonava vari strumenti. E così con "The Whirlwind" se ne va manco a parlarne la prima ora e un quarto di concerto.

Approfitto dell'intervallo per fare qualche foto e qualche chiacchiera.

Ancora una volta dobbiamo attendere un bel po' prima di rivederli sul palco... ed ecco che rientrano sul palco per la seconda parte della serata, pronti a deliziarci con materiale proveniente dai primi due album. "All Of The Above", dal primo album "SMPTe" è uno dei momenti in cui mi sono divertito di più, datoche per me rappresenta una delle cose migliori mai fatte dal gruppo. L'adrenalina sale un po' a tutti sui primi minuti dell'esecuzione. Portnoy durante una delle parti lente ne approfitta per riposarsi e fa uno strano effetto vederlo cantare da seduto.

E poi arriva uno dei momenti più emozionanti della serata, ovvero l'esecuzione di "We All Need Some Light" (sempre dal primo album), con Morse che prende la chitarra a 12 corde (le tastiere le suona Gildenlow); peccato che la band abbia scelto di far cantare a Stolt il brano che nella versione originale è cantato regolarmente da Morse, ma il pubblico sembra gradire ugualmente e tutti a muovere le mani a destra e sinistra e ad alzare gli accendini e i cellulari incitati ancora una volta da Portnoy che nell'intro dà carica al pubblico seduto sulle casse con un cellulare in mano.

E ora un po' di materiale dal secondo album "Bridge Across Forever". Si inizia con "Duel With The Devil", anch'essa eseguita nella sua interezza e ben accolta dal pubblico (molti la ritengono la suite capolavoro del gruppo, per quanto sento dire in giro), nulla da aggiungere, altra esecuzione magistrale e piena di pathos.

Altro momento delicato ci viene offerto con l'esecuzione della ballad "Bridge Across Forever" eseguita in duetto da Morse e per l'occasione anche da Roine Stolt, che comunque si dimostra all'altezza. In tal momento i miei due amici ne approfittano per correre al Merchandising e comprare qualche gadget.

Si chiude con l'esecuzione dell'altra suite del secondo album, ovvero "Stranger In Your Soul" e qui succede di tutto! Disgraziatamente Daniel Gildenlow indossa, fra la rabbia di un milanista come me, la maglia neroazzurra di Eto'o (l'Inter era reduce dalla conquista dello scudetto), e nella parte più movimentata e veloce del brano i 5 (o 4+1, ditela come volete) decidono di allungarla nella maniera più originale: Portnoy imbraccia il basso, Neal Morse si mette davanti alla batteria suonandola di persona, Trewavas se ne va alle tastiere; in mezzo c'è anche un tributo a Ronnie James Dio, scomparso giusto il giorno prima. Portnoy (con addosso un qualcosa che sembrerebbe un accappatoio) effettua anche un crowdsurfing sul pubblico! Poi due dei quattro miei "seguaci" lasciano in anticipo il locale per scongiurare la perdita dell'ultimo treno per Torino ma io rimango lì, sotto il palco ad emozionarmi con l'intenso finale (Portnoy dopo aver lanciato le bacchette in un paio di occasioni firma un piatto e lo lancia).

E me ne vado felice non prima di essere passato dall'area merchandising ed essermi comprato una bella maglietta commemorativa del tour. È stata una serata fantastica, condotta da musicisti eccezionali che con sole 6 canzoni hanno tirato fuori un concerto di oltre tre ore (roba da pochi) senza mai subire cali di tensione. Qualcuno parla di "concerto prog definitivo", io parlo semplicemente di serata epica, dove si sono divertiti praticamente tutti e che tutti ricorderanno con gran piacere e vorrebbero rivedere.

Carico i commenti...  con calma