E' il 1999 ed il Regno Unito è in pieno post sbornia da britpop. Il ciclone Oasis ha travolto tutto e tutti, e con "Be Here Now" ed il mega live di Knebworth è stata posta la pietra tombale su quella stagione irripetibile e controversa.

Iniziano ad affacciarsi sul mercato nuove band che seguono la scia di quell'indimenticabile triennio, ma lo fanno con una consapevolezza diversa, un sound più riflessivo e malinconico che riflette esattamente i sentimenti di quel determinato periodo. L'anno successivo ci sarà il picco massimo di questo nuovo movimento con la pubblicazione del fondamentale "Parachutes" dei Coldplay, nel mezzo però trovano spazio gli allora giovanissimi scozzesi Travis.

Quartetto capitanato dallo schivo Fran Healy, i Travis sono tutto quello che una rockstar non dovrebbe essere: non esattamente avvenenti, timidi, riservati e composti. L'esordio "Good Feeling", un disco di classico britrock, ottiene un successo decisamente tiepido (entra in top ten ma ai margini, mentre nessun singolo esclusa la malinconica "More Than Us" entra in top 20). Diventa subito chiaro che con l'album successivo Healy e compagni non possono assolutamente sbagliare. E non sbaglieranno affatto, anzi.

Al momento della sua uscita, "The Man Who" condivide le sorti col suo predecessore: l'accoglienza è tiepida, il disco entra in classifica alla numero cinque e la stampa inglese non è morbida con la band scozzese, accusandola di essersi addolcita troppo rispetto all'esordio. Un pezzo in particolare, però, ed il Festival di Glastonbury di quell'anno cambiano completamente lo scenario: il terzo singolo estratto "Why Does It Always Rain On Me?", un capolavoro di pop autunnale che a tutt'oggi rimane il più grande brano pubblicato dalla band, entra in top ten ed inizia ad attirare le giuste attenzioni. Appena la band inizia a suonarlo sul palco di Glasto, la magia: inizia davvero a piovere. La storia fa il giro di giornali e televisioni, il disco schizza alla numero uno e i Travis esplodono.

E lo fanno meritatamente: "The Man Who" è un capolavoro assoluto, un disco che influenzerà negli anni a venire un numero infinito di band (lo stesso Chris Martin ammette spesso candidamente l'enorme influenza dei Travis sul sound dei primissimi Coldplay). La sua intrinseca malinconia autunnale, il sound organico ed assolutamente perfetto cesellato da quel genio di produttore che risponde al nome di Nigel Godrich (sì, proprio il fidato collaboratore dei Radiohead) fanno sì che si tratti di un episodio irripetibile nella carriera dei quattro scozzesi. Gli stessi Travis non si ripeteranno più a questi livelli.

Aperto ironicamente dagli accordi elettrificati di "Wonderwall" degli Oasis nella fantastica "Writing To Reach You" ("and what's a Wonderwall, anyway?"), "The Man Who" snocciola una serie impressionante di ballate incredibilmente ispirate: la copertina, fredda e invernale, dipinge esattamente il mood generale del disco. Un caldo abbraccio davanti al caminetto in un inverno gelido. "The Fear", "The Last Laugh Of The Laughter", "She's So Strange" e "Slide Show" sono costruite su di una calda chitarra acustica, la voce educata di Healy e rarissimi rumorismi quà e là, perlopiù un'armonica o un tocco di archi. "As You Are" è Godrich al cento per cento (di gran classe l'improvvisa svisata delle chitarre a metà pezzo che poi tornano indietro come risucchiate su sé stesse), mentre "Turn" è l'unico pezzo simil rock del disco, uno splendido inno da stadio con il classico ritornello urlato al cielo ed una perfetta progressione di chitarre elettriche nel bridge. "Driftwood" con la sua sei corde acustica ed il ritornello da grande classico è l'ennesimo numero strabiliante di un disco praticamente perfetto.

Con il tour celebrativo di quest'anno è arrivato finalmente il momento di ridare luce ad un disco bellissimo, seminale e troppo spesso dimenticato.

Brano migliore: Why Does It Always Rain On Me?

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