E' la fine del 79, a Ludwigshafen...

Ingrid e Pia vogliono formare un gruppo. Non sanno suonare e il bello è proprio questo.

Mettono un annuncio sul giornale. Risponde Stephanie da Heidelberg, trenta minuti di macchina ed ecco il power trio...

Alla fine arriva anche Gabi e Gabi ha un synth. Un synth cazzo!!!

Favolosa la ragione sociale che scelgono: Trummerfrauen, ovvero donne tra le macerie.

Favoloso il primo sette pollici, a partire da quella copertina che richiama i Faust e che da sola vale il prezzo del biglietto.

Nove minuti nove tre canzoni tre.

ABC post punk, attitudine poco educata, suoni dispari e sghembi, urletti femminei e iperkrauti.

Traccia uno è un suono d'allarme, traccia due una cantilena marziale declamata da soldatini femmina, traccia tre un bel tum tum per schizzatissime pulci salterine.

Un disco minore, certo. Ma suona ancora fresco freschissimo.

Quante stelle? Ma quali stelle!!! Si uccideva il chiaro di luna all'epoca, figuriamoci le stelle. Poi certo, questo è il brodo dove da ragazzino cuocevo i cappelletti

Ah, il nome Trummerfrauen è un riferimento alle donne tedesche che alla fine della seconda guerra mondiale ripulirono Berlino dalla macerie.

E, se Pia Gaby Stephanie e Ingrid son ben presto sparite di scena, le macerie invece sono ancora li.

Ci saranno sempre, temo.

Trallallà (e fine della recensione ptopriamente detta)...

Era un periodo molto “quante volte figliolo?” e io, chissà perchè, nutrivo un'insana passione per le attrici del telefilm “L'ispettore Derrick”. Quelle grigissime signorine erano le protagoniste assolute di tutte le mie battaglie di Venere e dovevano il loro ascendente all'imprinting di un vecchio giornaletto affollato di severissime valchirie. Allora non sapevo che quei sogni erano uno sfregio alla imperitura gloria del maschio romagnolo il quale una femmina teutonica non si sognerebbe di sognarla mai. Essa, infatti, e questa è cosa risaputissima, la da via talmente facile che sarebbe come sognare la piadina della mamma. Non che non la trombasse la tedesca, che anzi quello era un suo precipuo dovere, ma certo non era cosa da vantarsene al bar. Io stesso del resto, frequentando qualche anno dopo un campeggio pullulante di magnifico biondume, avrei avuto modo di verificare l'esattezza di quelle tesi. Una verifica per interposta persona, savasandir, ovvero non tanto per me, quanto per gli altri. Il che vuol dire che, tranne che per il sottoscritto, era tutto un trombare alla stragrande. Lo so, questo non è certo il miglior modo di omaggiare un gruppo punk tedesco ultra femminista, ma, come dire 1) sto andando a braccio 2) sono uscito dalla recensione propriamente detta.

All'epoca le femministe nel mio paesello erano cinque, due strafighe, due cessi assoluti e una che tra poco vi dirò. All'epoca, nella loro cerchia pubblica, gli unici maschi ammessi erano un poeta gay ( ma allora il termine gay non si usava) e un tossico terminale che era il loro protégé. In privato erano quasi tutte assai sportive ovvero molto molto tedesche. Tanto per dirne una, X aveva una relazione con Y, un tizio matto come un cavallo e brutto come un orco. I due avevano stipulato una specie di patto alla Querelle de Brest, ma una cosa è Genet, un'altra un paesello tipo il mio. Il patto diceva che tutti i maschi di passaggio potevano accoppiarsi sia con lei che con lui, solo che con l'orco non si accoppiava mai nessuno. All'epoca io ero un cittino, 14/15 anni e loro grandi, e niente, io le trovavo eccitantissime, Sembravano star (ovvero le strafighe) accompagnate dalle loro guardie del corpo (ovvero i cessi assoluti). Con le prime abbigliate secondo quella strana fase di passaggio che teneva insieme il post freak e il pre wave e le seconde che mettevano in scena tutte le sfumatare del trasandato. Tra di loro spiccava senza spiccare l'unica che non apparteneva né a un genere, né all'altro, ovvero non era né una strafiga, né un cesso. Tutti la chiamavano la tedescona. E fu proprio con lei che mi capitò di avere a che fare.

Era una ragazza alta, spigolosa, massiccia che, quasi per contrasto, si muoveva disegnando gesti morbidi e dolci. Aveva modi quasi da ragazzo (zero moine, zero affettazione) e un brivido nella voce che spettinava appena. Lontana da ogni minima apparenza seduttiva, si vestiva, come un insaccato (tutoni, maglionacci, saloppet) senza perdere minimamente in grazia. Aveva una stranissima, bellissima aura, qualcosa che riguardava, immagino, faccende come l'estrema naturalezza e il non fingere quello che non si é. Quel giorno avevamo un compito molto anni70: redigere una scheda sul film “La ballata di Stroszeck” che sarebbe stato proiettato il giorno dopo all'interno di dio sa quale manifestazione. Ecco, che io a 15 anni mi occupassi di cose del genere la dice lunga sulla mia coglionaggine.

Beh, fu un pomeriggio bellissimo. A un certo punto, forse perché il film era tedesco, finimmo a parlare di quella favolosa lingua che lei conosceva piuttosto bene. “Studiate tutti inglese e francese, ma senti qua che roba...”

E eccola che, con la sua voce di cristallo, ti parte con una canzoncina per bambini in tedesco, un po' come “Der rauber und der prinz” dei D.A.F sussurrata da una enorme e dolcissima sorella maggiore...

...

“2020”, crash...

Crash!!!!!!

Ecco, son di nuovo a quel pomeriggio. Il sussurro della dolce sorella si trasforma nell'urletto Trummerfrauen o forse è il contrario, non so.

E, mentre tutti i ganzi romagnoli scoreggiano nella farina, quattro minuti soldatini femmina e una gigantessa si passano la palla del mio vecchio cuore.

La scena è talmente tenera che gli spazzini delle incongruità spazio temporali perdono per un attimo il loro ottuso aplomb da funzionari e sfoderano un mezzo sorriso. Un attimo, soltanto un attimo prima di tornare al loro sporco lavoro.

Trallallà...

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