Nella vita se c’è bisogno di una cosa che ci spinge ad andare avanti, sono le certezze. Quelle cose che non cambiano mai, che rimangono sempre le stesse, forse monotone ma dannatamente funzionanti.

Nel mondo musicale da più di un decennio a questa parte, non è più così. Vuoi l’abbandono delle sonorità old school per generi più “nuovi” diciamo, come il Nu, l’Alternative, o il Metalcore, vuoi per un bisognoso impegno di rinnovazione, al giorno d’oggi ci ritroviamo ogni giorno migliaia di nuove band che sono pronte a farsi valere, a ottenere quella fama tanto adirata. Ma quando hai quella fama, che ci fai? In un 50% dei casi continui a far valere la tua musica, non cambiandola di una virgola, ma nell’altro 50% la pressione delle case discografiche, il bisogno di rinnovamento come detto prima, porta ad uno scombussolamento musicale devastante. Andate a chiederlo a gruppi come gli Avenged Sevenfold o una buona parte dei gruppi metalcore.

Certezze, dicevo. C’è una persona che in tutto questo discorso non si è mai sottoposta, in quasi 50 anni di carriera ad un cambiamento musicale. Quella persona risponde al nome di Udo Dirkschneider, famoso ai più per essere stato lo storico frontman degli Accept prima e leader degli U.D.O. ora. Gli U.D.O. soprattutto, hanno garantito agli amanti dell’heavy metal classico ciò che più desideravano, ossia la musica che più amavano senza mai scendere a compromessi, con un lasso di tempo di circa due anni, sempre ben rispettato dalla band. Le caratteristiche ci sono tutte: ritornelli accattivanti e melodici, la voce al vetriolo di Udo, graffiante e sgraziata allo stesso tempo, e una produzione messa in primo piano. Questa formula, così semplice quanto vincente, ha permesso agli U.D.O. di sopravvivere per più di venticinque anni soddisfando sempre i loro fan.

Arrivati nel 2011, la band di Udo non ha più niente da dimostrare. Perché allora continuare? Perché non andare in pensione? Queste domande sono state fatte spesso al nostro nanetto tedesco, e la risposta non è mai tardata ad arrivare. “Finché mi divertirò ed il mio corpo me lo permetterà, continuerò a fare album ed andare in tour.” Irriducibile come pochi, nel 2011 esce “Rev-Raptor”, ennesimo disco in cui l’ascoltatore sa già a cosa prepararsi, ma è comunque ansioso di mettere il CD nel lettore ed ascoltare ciò che gli U.D.O. hanno sfornato.

Il disco è pieno di bei pezzi, fra i quali spiccano la bella “I Give As Good As I Get”, e le più veloci e marcate “Leatherhead”, “Dr. Death” e “Motor-Borg”. Udo non dimentica neanche i mid tempo classici che hanno contribuito al successo degli Accept nei primi anni 80’, stile che possiamo ascoltare sia in “True Born Winners” e “Rock N’ Roll Soldiers”. Menzione particolare per la copertina, una delle più brutte che abbia mai visto, ma anche parecchio divertente, che ci mostra un Udo incazzato contro il mondo, stranamente sotto forma di cyborg o qualcosa di simile, che sfodera da ogni parte immaginabile un’arma pronta a fare fuoco. Strana, ma comunque godibile.

Se gli Accept nel 2011 si erano appena riformati con un nuovo cantante ed erano pronti a riprendersi la reputazione che avevano un tempo, con un primo passo ben riuscito dopo la pubblicazione di “Blood Of The Nations”, Udo non stava certo con le mani in mano. Forse questo disco risulta più ispirato dei suoi predecessori, “Dominator” soprattutto, perché Udo si è sentito come in “gara” contro il suo vecchio gruppo, e seppur “Rev-Raptor” non faccia gridare al miracolo, non essendo un capolavoro del metal e neanche il migliore nella sconfinata discografia degli U.D.O., è comunque da apprezzare ampiamente.

Il folletto di Wuppertal colpisce ancora, e lo fa nel migliore dei modi, con quella semplicità a lui tanto cara e che si è dimostrata diventare un suo tratto distintivo negli anni, che potrà anche far storcere il naso ai puristi, ma che agli altri potrà solo far che contenti. Udo, what else?

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