Immaginate un gigantesco monolito.
Avvicinatevi alla superficie ostile e affascinante, innervata di minuziose arcane incisioni.
Riverberi metallizzati, pleocroismo scintillante di ogni nero possibile.
Manifestazione caleidoscopica di telluriche vibrazioni che già si dilatano nell'etere.
Potete percepirle mentre lo abbracciate, fino ad affondare lentamente nella materia tra i pertugi di orbite infinitamente piccole che custodiscono energie infinitamente grandi.
Quella violenza che unisce e scompone con la forza onde impalpabili per modellarle a sostanza tangibile e vibrante alle umane frequenze, energia primordiale che scorre in ogni atomo, tra le spire di ogni elettrone.
Lasciate che il vostro sistema nervoso sovraeccitato ne trattenga il transito brutale, come foste attraversati da scie di particelle rilasciate dall’esplosione di una supernova.
8 è un disco selvaggio e compatto, ciclico. Non ha inizio né fine, metafora della divina furia che imbriglia gli elementi e scandisce il perenne fluire cosmico del Tutto.
Le 8 tracce si snodano indistinte in un magma continuo e ribollente, tracciando i consueti scenari cosmico/sulfurei tanto cari all’estetica Ufomammut, ma questa volta amplificati da una sintesi dove le decelerazioni non si dilatano oltre misura.
Detonazioni ataviche (Psyrcle), mantra percussivi che coagulano pareti sonore accelerate e tribali (allucinante l’ultimo minuto di Zodiac), decompressioni spaziali, ipnosi che tracima in cavalcate sludge doom (Warsheep), l’incedere quasi stoner di Fatum.
Esplosione, propagazione, quiete.
Di nuovo esplosione.
Eterno ritorno.
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