Per sintesi di massimi sistemi, pochi gruppi come gli Ultravox hanno incarnato a tutto tondo l'idea - in sé già sconfinata- di new wave. Un gruppo partito con tante chitarre, giubbotti di pelle, un nome col punto esclamativo da tradizione old school, presto mutati in candide mise new romantic, trucco, simbologie decadenti, voglia di sperimentare e soprattutto abbracciare le infinite possibilità degli ammalianti territori sintetici. La lancetta scatta nel lontano 1976, e non si potrà certo dimenticare il talento del defezionario John Foxx, un cantante fragile ed esteta che sembrava uscito da un'altra epoca, la mente visionaria delle prime tematiche care al progetto, su tutte, quella dell'ambiguo e inquietante rapporto uomo-macchina. Ma è con l'ingresso del nuovo vocalist Midge Ure che gli Ultravox trovano la definitiva consacrazione, smussando gli angoli più ruvidi del loro sound in favore di soluzioni melodiche avvincenti e mai banali, in grado quasi sempre di marcare le classifiche. "Vienna" è il primo esempio di questa svolta, un disco fortunato anche sul piano commerciale, grazie al suo connubio di trame sintetiche ed armonie classicheggianti su cui risalta la voce potente e modulata del neo leader .
Appena una stagione dopo, ecco "Rage in Eden", un lavoro che, proseguendo sulla scia del predecessore, si presenta da subito più maturo e curato, in virtù di una migliore amalgama tra elettronica e suoni tradizionali, stavolta di matrice più rock. La melodia tipica alla Ultravox si sprigiona in tutta la sua potenza in episodi trascinanti quali l'incipit "The Voice", da consegnare agli annali della new wave, e la robotica "The Thin Wall", riscaldata dai sapienti rintocchi di synth e dalla calda voce di Ure. Ma "Rage in Eden" rivela anche un orientamento più introverso, in particolare, quando i ritmi rallentano, e le atmosfere si fanno ipnotiche, se non proprio cupe. La title track, ad esempio, avanza come una lenta processione funebre da civiltà post-atomica, mentre "I Remember" alterna armonie scorrevoli e delicate ad un refrain fatto di minacciosi cori crepuscolari. Importante sottolineare anche il ruolo delle chitarre, ora di appannaggio del solo Ure, che, pur presenti ad intermittenza, quando chiamate in causa sanno ritagliarsi momenti epici di grande impatto: vedi gli arpeggi "fenderiani" e l'ottimo assolo di "We Stand Alone", uno dei brani migliori del disco, oppure le pennellate policrome sopra il boogie futurista di "Accent Of Youth". Chiude l'opera "Your Name", ancora con qualcosa di sinistro ma in realtà votata alla più ermetica sperimentazione.
Dopo i buoni indizi di "Vienna", dunque, con "Rage in Eden" i nuovi Ultravox di Midge Ure prendono coscienza di poter andare lontano, cavalcando un art rock che in sostanza non scontenta nessuno: né gli amanti delle melodie orecchiabili da classifica, né i cultori di certa new wave più glaciale e raffinata. E se in futuro l'inclinazione commerciale del gruppo assumerà contorni sin troppo evidenti, questo episodio discografico va a collocarsi al meglio tra i due poli di pensiero, rappresentando così un ottimo sunto di differenti umori e colori della "nuova onda". Per gli amanti di quegli anni, una testimonianza imperdibile; per neofiti e curiosi, non saranno comunque mai soldi buttati.
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